martedì 29 dicembre 2009

Martina

Si chiamava Martina, era la loro Punto amaranto. Era vecchia e consumava molto, ma le avevano dato un nome e ormai aveva il diritto di restare.
A volte, quando c’era il sole e in casa la noia era più imponente della loro presenza, salivano su Martina e andavano in città.
Poco più in là del basso cancello d'entrata c'era una stradina in terra battuta. In poco più di dieci minuti si poteva raggiungere una delle arterie principali che collegavano la periferia alla città. A volte ci andavano a piedi, camminavano insieme solo per restare lì a guardare le auto che passavano e pensare al momento in cui sarebbero partiti.
Lui parlava tanto, aveva la testa piena di progetti, lei ascoltava e taceva. Parlava di quello che avrebbero costruito, del nuovo lavoro, della nuova casa, di poesia, cani e teatro, di cucina e amicizia, del loro amore e di vigne soleggiate.
La sera nel letto continuavano i discorsi e i progetti, c’era sempre qualcosa da fare, senza un traguardo che non fosse una nuova partenza. La meta era sempre un passo di lato, solo sfiorata. Quando lui si addormentava lei guardava oltre i vetri della finestra.
Molte notti le passava sveglia, aspettando l'alba, non accendeva la luce per non svegliarlo, e restava al buio a guardare. Un giorno la notte le parve un po' più lunga della precedente: il sole sorgeva qualche minuto dopo. E così, mentre lui dormiva, le notti si allungarono e l'attesa della luce richiedeva ogni volta maggiore pazienza. Iniziò a svegliarsi sempre più stanca e con meno energia.
Continuavano a parlare di quello che sarebbe stato, continuavano a guardare la città, a prendere Martina e unirsi al flusso intenso di viaggiatori. Più tardi, nel letto, potevano allungare la mano al buio e scoprire di essere ancora lì.
Ma le notti continuavano a crescere e le mani di lei iniziarono a tremare. Una mattina si scoprì incapace di reggere le grandi tazze gialle della colazione, ma pensò solo di essere stanca, gli disse: “Oggi pensa tu al lavoro” e andò a dormire da sola.
Le sue mani però continuavano a tremare e riposava sempre più spesso lo sguardo sulla vastità del cielo.
Un giorno la notte invase i suoi spazi. Era una notte bellissima, piena di stelle e profumata di polline nuovo. Lei rimase a letto incapace di alzarsi. Lui la lasciò lì pensando avesse solo bisogno di tranquillità.
Passarono ventiquattr'ore, il buio non andava via ed era difficile distinguere il giorno dalla notte, lei non riusciva a seguire i suoi discorsi, senza luce non sapeva continuare la tessitura. I fili si intrecciavano fra le sue dita in forme nuove e sconosciute, non seguivano più la trama iniziale.
Non lasciava il letto, ma scoprì che le sue gambe non avevano perso la forza. Sapeva solo che non avrebbe potuto camminare in quelle stanze.
Lui la portava in braccio ovunque lei chiedesse di andare, lui la aiutava a non poggiare i piedi per terra, ma non le chiedeva cosa ci fosse nel suolo a spaventarla così tanto. I suoi piedi tornarono bianchi e morbidi, le sue caviglie elastiche e sottili, le ginocchia si arrotondarono mentre la sua testa viaggiava intorno alle stelle che non la abbandonavano mai.
Passava il tempo e lei guardava con apprensione l'orologio segnando scrupolosamente i giorni per non perderne il conto.
Una notte, si suppone che lo fosse, sentì dei campanelli suonare. Il suono, prima debole, divenne sempre più forte e poi di nuovo lontano, erano andati via. Ma lei non li dimenticò.
Passarono le ore e aspettava, l'inquietudine era entrata dalla porta principale.
Passò del tempo, non molto si direbbe, e le sembrò di sentire di nuovo quella musica, era lontana ma non andava via. Lui non era in casa e lei riuscì a poggiare di nuovo i piedi per terra e raggiungere la porta. La aprì e guardò fuori, il cielo era buio e la Via Lattea splendeva. I cespugli sembravano d'argento e il profumo dei fiori le accarezzava i capelli. Non tornò indietro a prendere le scarpe. Sentì il pavimento sotto la pianta dei suoi piedi nuovi, fece alcuni passi e superò le mattonelle dell'ingresso, era già sulla strada sterrata quando sentì un rumore che la fece voltare di scatto. Il vento aveva chiuso la porta alle sue spalle.

lunedì 21 dicembre 2009

TdO

«come son belle le illusioni
ed i pensieri tristi
e le canzoni degli anni settanta
e quella voglia di andare via
e il desiderio di restare
e il così nobile orizzonte
del mare Ionio che se ne va via
verso l'Africa»

sabato 19 dicembre 2009

Babbea Babele

Siamo refusi, piccoli errori sfuggiti all’ordine delle cose. Nascosti allo sguardo poco attento, svelati all’ironia e alla curiosità. Siamo gironi difficili dei giorni difficili, siamo azioni casuali negli atti causali, siamo colli colmi di acerbe intenzioni.
Siamo Re fusi sotto i 40° della responsabilità. Ubriachi nei bar della periferia radical chic a cercare le nostre connessioni improbabili smantellate con l’accendino del brindisi di troppo, digeriti nella staffa dei pochi rimasti.

...il resto

Le parole prese senza esche, sulla bocca una primavera di sorriso, gli occhi bene aperti e gli sguardi ancora/di nuovo limpidi.

giovedì 17 dicembre 2009

Aveva camminato già molto quella mattina e gli stivali le facevano male. Si fermò un attimo per allentarne i lacci.
La vide da lontano che la aspettava seduta a un tavolino del bar, le fece un cenno con la mano e si avvicinò.
«Scusi il ritardo».
«Non importa».
Al cameriere chiese un caffè freddo, l’altra beveva già la sua ordinazione.
«Come sta?»
«È difficile dirlo. È piuttosto abbattuto e mangia poco. Però può essere anche dovuto al cambiamento di ambiente. Per un gatto adulto, specie se randagio, non dev’essere facile trovarsi in gabbia e immerso in odori estranei»
«Lo immagino. Ma le zampe?»
«Bisogna aspettare per dirlo. Andava molto veloce?»
«No, non credo, ma non ricordo. Ero piuttosto distratta, altrimenti l’avrei visto»
«Certo»
Prese lo scontrino che le porgeva il cameriere, per pagarlo dovette richiamare due volte la sua attenzione, aveva il collo sudato e probabilmente era a fine turno, con la mente già al mare.
«Mi sento responsabile»
«Be’, in realtà lo è»
«Già», si spostò una ciocca bionda dalla fronte, bevve un sorso di aranciata e aprì la borsa frugando alla ricerca delle sigarette. L’operazione durò più del dovuto, le sue mani tremavano leggermente.
P. la guardò, aveva lo stesso sguardo spaventato di quando era arrivata all’ambulatorio.
Accese.
«Non è un periodo facile»
«Senta, non deve darmi spiegazioni. Scusi la schiettezza di prima, ma è la verità. È lei la responsabile dell’incidente, ma in pochi si sarebbero preoccupati di rivolgersi a un medico. Può succedere»
«Ma non doveva. Ora io ne sono responsabile. È tutto piuttosto complicato. Ero al telefono mentre guidavo, una conversazione impegnativa che avrei evitato. Probabilmente in quel momento stavo gridando, e ho sentito il colpo»
«Bisognerebbe evitare conversazioni impegnative quando si è alla guida. Ma mi creda, non ho l’autorità né il tempo per farle delle prediche»
«Non serve autorità per dire come stanno le cose»
«Guardi, questi sono i risultati delle ultime analisi. Come vede era già malato prima dell’incidente, è per questo che non sono sicura di riuscire a guarirlo. Il sangue si coagula lentamente e non è abbastanza forte per la ripresa. Dovremo vedere come reagisce agli antibiotici, intanto gli stiamo somministrando delle vitamine. Bisogna aspettare.
Ora devo proprio scappare, la terrò informata sugli sviluppi»
Le due donne si alzarono contemporaneamente per darsi la mano. La dottoressa raccolse le carte che aveva messo sul tavolo e prese la borsa dalla sedia su cui l’aveva poggiata.
Mentre la guardava allontanarsi, A. ebbe la sensazione aver taciuto qualcosa di importante.

martedì 15 dicembre 2009

Una stanza tutta per sé

André Breton diceva di voler vivere in una «casa di vetro». Era l’anticipazione del Grande Fratello, delle donne in vetrina, dei blog e dei social network. Breton parlava di un luogo in cui essere sempre su un palcoscenico: il voyerismo, il guardare e l’essere guardati.

Io invece volevo una stanza tutta per me e l'ho avuta, ho i miei metri quadrati in cui poter chiudere la porta, spegnere il cellulare ed essere sola. Ma non basta un luogo.
Quand’ero piccola immaginavo che i miei genitori mi spiassero con telecamere nascoste ovunque, anche in bagno. Mi rendevo conto dell’assurdità di questa fantasia, ma non potevo fare a meno di crederlo. Pensavo avessero scoperto il modo per leggere nei miei pensieri. Da grande ho imparato il piacere di ritrovarmi nel letto, sola o in compagnia, ed entrare nella mia stanza. Solo allora, nel buio sotto le coperte, ho capito che quello che avevo nella testa non poteva leggerlo nessuno, ho scoperto che anche con un uomo vicino a me potevo essere in un altro luogo. Ma questo non mi bastava.
Dopo aver imparato la libertà del pensiero individuale ho anche scoperto che la mia identità perdeva consistenza se non si specchiava negli occhi altrui. Ho provato la prigionia del trovare me stessa riflessa in chi mi guardava. Cosa ero senza la condivisione?
Avevo un blog, uno spazio tutto mio e anonimo, in cui scrivere senza che nessuno conoscesse la mia identità. Ma non mi è bastato. Sono caduta nella trappola che temevo: lanciare messaggi, disseminare tracce... e mi sono incatenata.
E così, come quando ero bambina, piego i miei pensieri alla presenza altrui, e quelli più profondi scivolano ancora più in basso, in un posto ancora più lontano.
La vicinanza e la lontananza sono due misure direttamente proporzionali: più ci si avvicina e più ci si allontana, perché esiste un luogo verso cui tendere e dal quale fuggire.
C’è bisogno di un punto, di un nemico o di un amico. Cerchiamo i nostri antagonisti perché le cose abbiano il loro peso. C’è bisogno che qualcuno insista a entrare nei nostri spazi per sentire il bisogno di una stanza tutta per sé.
Il segreto è stato svenduto e la nudità ha perso ogni attrattiva. Le bocche spalancate a ingorghi di parole, le barriere sono cadute e non c’è più sovranità sui pensieri. Affogati nelle nostre stesse adulazioni abbiamo lasciato che si prendessero tutto con i baci e le promesse. Aperti i portoni ogni cosa è stata saccheggiata e i tetti delle chiese sono stati bombardati.
Il silenzio ci allontana ma le parole si svendono facilmente e somigliano troppo ai chewingum masticati a lungo, hanno smarrito sapore e significato. Solo i simboli resistono ancora. I segni primari, i ricordi, gli oggetti che conservano le impronte.
Non lo so più dov’è la stanza tutta mia, forse nelle parole cancellate da Word, taciute per stanchezza e per pudore, laddove è sopravvissuto, dove ancora c’è una terra da difendere. Sono rimaste nelle orecchie di chi le ha sapute ascoltare, di nuovo lontane da me, di nuovo specchiate in altri occhi.
In questa stanza non ci sono note da trovare, ferme come lucertole, la luce ha spazzato via ogni cosa e gli odori sono usciti dalle finestre troppo aperte. Lasciar entrare chiunque è il tradimento primario, tradite le parole muoiono i pensieri e brucia ogni luogo: quello da cui partire e quello a cui arrivare.

lunedì 14 dicembre 2009

Non è pesante questo masso vuoto. Non piega le spalle e non fa solchi, l’ho costruito con cura seguendo le regole estetiche della malinconia. È un sentire che non ha soggetto e nel vuoto di un’insostenibile leggerezza si perde ogni gesto. Chi resterà da tradire quando si è tradito il padre, l’amore, l’amante e abbandonata la terra?
Un’aria vuota che non fornisce appigli, questa realtà non è reale, è rigonfia di intellettualismi abusati, non nutre e non avvelena, lascia rinsecchirsi di inedia. E non cambia molto capirlo.
Non si desta chi non dorme né riposa chi non veglia, non c’è desiderio e non c’è lotta, non c’è ambizione e non c’è sfida. Non c’è vero buio o vera luce, non ci sono parole vere. Figli senza memoria di vecchi che non sanno morire.

venerdì 11 dicembre 2009

Decade

Hanno preso la mia valigia, dentro c’erano i tuoi occhiali rossi.
Cosa dirò a mia madre?
Questo luogo non ha più motivo di esistere
il cerchio è chiuso intorno a me.
Mio tempo, mie mani, mio sangue, nascondini ciò che era nostro
finché non avrò le parole per dirlo.
Cosa saprà lei dell’odore della marina quando c’è l’alba?
E del silenzio della tua città, delle notti e dei risvegli, della poesia e del teatro,
di tutto ciò che ci ha nutriti.
Ora dovrò attraversare il grande bosco.
Ogni cosa esplode.
Questo giorno è uno scandalo per i miei occhi
lo maledico con l’ingiuria del mio tempo.
Ci macchia di un peccato incancellabile
continuare a vivere oltre la fine.

giovedì 10 dicembre 2009

anyway

«Così si continua il cammino in una attesa fiduciosa e le giornate sono lunghe e tranquille, il sole risplende alto nel cielo e sembra non abbia mai voglia di calare al tramonto.
Ma a un certo punto, quasi istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle nostre spalle, chiudendo la via del ritorno
»


Dino Buzzati, Il deserto dei tartari

giovedì 3 dicembre 2009

«Le parole sono finite in una fessura del tempo, morte, e giacciono in strati sul fondo di un cratere buio. […] quel breve intervallo, tra il momento in cui ha spento il motore e quello in cui lo ha riacceso, ti ha fatto sentire terribilmente triste. Quel piccolo spazio vuoto ti si è insinuato dentro come nebbia che sale dal mare. Si è fermato dentro di te a lungo. E infine è diventato una parte di te»


Murakami Haruki, K.s.s.

domenica 29 novembre 2009

L’acqua è sul fuoco, la tavola è apparecchiata, la musica è accesa, il giornale aspetta aperto sul tavolo, i bicchieri sono pieni, le sigarette si consumano nel posacenere. Senza dire nulla ci siamo alzati e siamo andati via.

sabato 28 novembre 2009

Croquet con la Regina

Hai mai giocato a tetris con le parole? Hai mai guardato inerme un oggetto cadere? Hai mai preso il tram solo per leggere un libro senza stare fermo? Ti sei mai svegliato riprendendo i tuoi pensieri dal punto esatto in cui li avevi lasciati? Hai mai sognato di versare sale sul tuo letto? Hai mai sentito di aver sbagliato irrimediabilmente? Ti sei mai trovato sommerso dalla terra con le mani sporche e le unghie rotte? Hai mai parlato per ore difendendoti, colpendo e fuggendo per poi scoprire di volerti solo abbandonare al tuo nemico? Hai mai girato intorno a un punto convito di conoscere la strada? Hai mai guardato tutti da lontano, piccoli come in un cannocchiale girato? Hai mai chiesto aiuto? Hai mai scoperto che anche se la tua giornata inizia alle 8 non finisce prima delle 3 di notte? Hai mai trovato musica sconosciuta nel tuo computer che descrive precisamente come stai? Hai mai sentito la tua mente, il tuo corpo, i tuoi desideri sfuggire totalmente al controllo, e tu credi che la soluzione sia vicina ma appena allunghi le mani fugge via? Hai mai conservato una tazza affidandole il senso del tuo destino? Ti è mai caduta addosso la memoria? Hai mai perso il tuo umorismo? Hai mai indossato dieci personalità, trovato dieci nuove soluzioni, scoperto dieci volte il senso della vita in un solo pensiero? Hai mai avuto la sensazione che ti cambiassero le regole quando le capivi? Hai mai creduto di saper cambiare l’universo per poi scoprire di aver dimenticato come si fa? Ti sei mai sentito una profezia che si auto-avvera? I super poteri ti abbandonano, non ti spieghi come non hai capito le cose più semplici, cerchi di trasformarti e aspetti che ti spuntino le gambe.



«Da piccolo mi piaceva arrampicarmi sugli specchi»
«Io ho imparato molto dopo»

venerdì 27 novembre 2009

«Lì vi era il tutto. Però non vi erano le singole parti. E non essendovi parti, non era necessario sostituire una cosa con un’altra. Non era necessario togliere dei pezzi o aggiungervene altri. Bastava abbandonarsi al tutto, senza dover pensare a cose difficili.»

Murakami Haruki, Kafka sulla spiaggia

lunedì 23 novembre 2009

Su Il bell’Antonio

Non ho ancora letto il libro di Brancati, ma ho finalmente visto Il bell’Antonio nella versione cinematografica di Bolognini, con Pasolini alla sceneggiatura e Mastroianni nei panni del protagonista. Chi altro avrebbe potuto rendere l’intensità di un personaggio così malinconico, silenzioso, estraneo? Penso forse ad Alain Delon, che già interpretò il ruolo dell’uomo la cui avvenenza sembra essergli stata attaccata addosso come una colpa e non una benedizione. Ma Mastroianni raccoglie perfettamente in sé la bellezza macchiata di una certa indolenza che lo fa essere desiderabile e sfuggente, sempre altrove e sempre presente nello sguardo che denuda. Le ciglia lunghe, la pelle bianca, l’espressione triste, Antonio è l’uomo amato dalle donne, mascolino con tratti femminili, racchiude in sé il fascino dell’altro sesso livellandone la brutalità, come qualcosa che invade piano, senza dolore se non quando arriva al centro: un oggetto sessuale.
Antonio è un estraneo, un alieno nella città siciliana in cui la virilità è il primo orgoglio della stirpe, residuo della mentalità superomistica il cui vanto maggiore è l’essere stato «con nove donne in una notte sola». Il giovane che da Roma torna nella città d’origine portandosi dietro una fama immeritata da Don Giovanni, il conquistatore che le ha prese tutte.
La verità è svelata nella prima scena, di fronte a una donna in lacrime che lui non sa amare: Antonio non riesce a fare l’amore. Un’impotente, si direbbe con parole brutali, o forse una vittima della sua capacità di sentire, dell’intensità dei suoi sentimenti.
Le donne di cui si innamora sono trasfigurate in figure ultraterrene, sono angeli, non appartengono a questo mondo, come pensare di avvicinarsi senza rovinarle? Ma la donna è umana e la gabbia angelicata la costringe in un ruolo che non le appartiene, la priva della sensualità del corpo che non è cosa altra dallo spirito. Si può amare un corpo, come si amano le opere d’arte, come ci si emoziona di fronte alle creazioni della natura, di un amore che però è possesso, quando diventa fisico. Il desiderio chiede di essere soddisfatto e nella soddisfazione trova la sua morte.
L’amore, per durare, ha bisogno di sottrarsi a se stesso, di non raggiungere la completezza che lo ucciderebbe rendendolo reale, afferrabile e poi piccolo, concreto. È una menzogna che si auto-alimenta, deve celarsi: se la verità è nuda l’amore non può esserlo. Almeno non quello umano, perché chi saprebbe guardarne la meravigliosa lucentezza di fronte alla quale tutti appariremmo imperfetti e deboli?
Così nel film le ombre celano e le parole sono sussurrate, sfuggono. Lo sguardo non entra nell’intimità delle camere da letto, i segreti sono rispettati fino a quando non interviene la presenza esterna a violentarli, finché personaggi terzi non si intromettono nel lieve equilibrio degli sposi.
Senza intromissioni quell’amore sarebbe forse rimasto immutato, eterno. Ma l’uomo non sa desiderare senza prendere, quell’equilibrio si sarebbe rotto perché uno dei due un giorno, spinto dalla propria umanità, si sarebbe risvegliato e, guardando il suo sogno di purezza, non avrebbe saputo continuare quel felice inganno.



«Un giorno ti lasciai per un interno folle miraggio e me ne andai lontano.
E me ne andai per ogni suolo estraneo cercando amore.
E l’amore cercai l’estate e il verno. E sempre andai cercando amore.
Corsi cercando amore, ma l’amor non scorsi e da casa tornai malato in cuore
»

giovedì 19 novembre 2009

mercoledì 18 novembre 2009

atterrati

Pagheremo tutto questo o stiamo pagando ora per il lavoro fatto male?
Cos’è questo: un processo o un verdetto?
Da quanto sono qui? Io non ricordo.
Nell’acqua sotto il ponte c’è un cavallo addormentato, ha dimenticato il giorno.
Sul cielo di Roma gli uccelli divorano i tetti delle chiese e i sanpietrini crepano nell’acqua.
Senza piedi né testa, rifugiati nel ventre, si attende il nuovo parto.

martedì 17 novembre 2009

Tra le righe, nello spazio tra le parole, nelle pause si nascondono i pensieri più profondi che hanno paura di svelarsi.

lunedì 16 novembre 2009

Infiltrazioni

La polvere negli angoli, il sorso sgasato, il telegiornale della notte. Il boccone avanzato, l’ultima pagina bianca, le briciole del tabacco.
Il calore che non scalda, la voce che non dice e la terra che non mi abbandona.
Il guscio vuoto che dà forma, un punto e virgola.
Le notti che non dormo e le mattine che non mi sveglio, i libri che non finisco e le parole che non scrivo. Le telefonate che non faccio, i sorrisi che non nascono e l’acqua che non lava. Il tempo fuggito, la mia immobilità, ogni cosa che non capisco.
Le gambe che non si muovono, la zavorra nei vecchi sacchi, la sconfitta a cui non so rinunciare.

domenica 15 novembre 2009

Finestra sulla memoria (V)

«Viaggia la luce delle stelle morte, e grazie al volo del loro fulgore le vediamo vive.
La chitarra, che non dimentica chi è stato il suo compagno, suona senza il tocco della mano.
Viaggia la voce che, senza la bocca, continua ad essere
»



Eduardo Galeano, Parole in cammino

martedì 10 novembre 2009

Nelle parole già versate sono le forme perse di ora.

lunedì 9 novembre 2009

giovedì 5 novembre 2009

I caduti sono rimasti sulla strada.
Quant’è stato difficile arrivare fino a qui.
Nel petto il metallo più prezioso e tra le labbra aperte in un sorriso
il mio nome.
Ci siamo spogliati dei vestiti e coperti di polvere
per essere liberi,
per non essere posseduti
e rivedere il cielo.

mercoledì 4 novembre 2009

sabato 31 ottobre 2009

venerdì 16 ottobre 2009

mercoledì 14 ottobre 2009

Unrestrained

Io ho la parola che si trasforma, io ho le mani che accompagnano la caduta, io ho la durezza della sincerità.
Io ho la magia per svelare, ho la pazienza per aspettare, ho la curiosità per spiare.
Io ho il nome delle cose, io ho il mio vero nome, io ho la verità.

lunedì 12 ottobre 2009

L’orgoglio macchia sterile
come mestruo versato
Al funerale di pipino
Mi sono messa un cravattino
Una parrucca tutta rossa
E un sorriso per la fossa
Al funerale di ciospetto
Ho messo fiori dentro il petto
Ho allungato un poco il collo
E ho guardato tutto intorno
C’era gente bella e brutta
c’era tanta erba e frutta
tutti a ridere sguaiati
perché i guai sono passati

Mai io ho preso un bel cappello
e m’è venuta un’invenzione
C’ho messo dentro il mio cervello
E gli ho cantato una canzone

Che siam ossa nervi e sangue
Non si aspetta ciò che langue
Stiamo in terra e qui restiamo
Con i nostri resti in mano

domenica 27 settembre 2009

Cronaca urbana

Nella notte tre il 26 e il 27 di questo mese c’è stato un crollo sulla strada provinciale che collega la periferia sud con la zona a nord est della città. Durante la notte il manto stradale si è afflosciato su se stesso creando un avvallamento che ha bloccato per alcune ore lo scarso traffico automobilistico. Gli abitanti della zona affermano di non aver sentito alcun rumore, l'incidente è passato inosservato a chi non si trovava in viaggio in quel momento.
Si cercano i responsabili tra le ditte che si sono occupate di rifare l’asfalto.

Nascita

L'uovo covato troppo a lungo è diventato sodo,
ma a settembre sono sbocciati i girasoli.

martedì 15 settembre 2009

Le confessioni si ripetono, una pompa che scava nel cuore della terra, una catarsi senza fine.

Trafugo rete in ore tarde per poter essere lontano e non sentire questo abbandono. Ma se è l’unica portata servita, allora non mi alzo e vuoto il mio piatto. Un’immagine riflessa dei miei desideri delusi, per riempire l’aria e aprire la bocca, perché i denti possano mordere.
E smetti di sorridere, sapresti essere il mio angelo? Sapresti dire le parole di cui ho bisogno, parlare con me mentre mi allontano da questa stanza e i mattoni si perdono sotto le mie suole? Spaventapasseri di gommalacca per le mie fantasie più atroci. Provo a ordinare le parole sui ritagli, la pasta di legno pressata per le mie costruzioni. Quello che sento lo invento per giocare con le mie bambine, non leggete ciò che non sapete capire, parlate con me perché dalla porta di dietro arrivano stralci e grida. Le urla notturne e l’amore frantumato a dieci anni, e il dolore e l’abbandono io li rivivo ogni notte, in un teatro della tortura per allenare le mie vene.
Poche orecchie per le parole. Non capitemi o dovrò cacciarvi via, nessuna mano tiene i fili, continuate a crederlo. L’illusione della realtà non va distrutta o ci troveremo tutti qui, nudi, a guardarci le mani, indifesi e poco interessanti, e non avremo altro da mostrare che i nostri movimenti intestinali.

mercoledì 9 settembre 2009

Chissà se negli incubi i pesci immaginano di essere vestiti e avere scarpe perfette ai piedi? Chissà perché sogno di mettere bambini in pericolo e mentre piango disperata mi compiaccio dei bei nomi che ho dato loro?

Forse oggi è un giorno tre volte perfetto e io ho pensieri che illumineranno il mio cammino nei prossimi dieci minuti. Poi penserò a qualcuno o a qualcun altro e crederò di aver capito ogni cosa, anche stavolta. Ma poi verranno le mestruazioni con la depressione ormonale, il senso della vita che sfugge e la mia incapacità.

Ma come fanno gli astemi senza i lunghi racconti notturni?

Lei aveva gli occhi pieni di polvere, le mani impastate di terra vecchia e sudore. Lei avrebbe voluto dirgli quello che aveva pensato quando l’aveva visto per la prima volta, ma non era riuscita a farlo. Avrebbe voluto dirgli quello che aveva pensato quando lui l’aveva lasciata cadere per disattenzione, ma neanche quello era riuscita a fare. Credeva che la sua forza fosse nel mettere distanze insormontabili, lasciarlo fuori dal suo cancello e restare lei da sola, padrona di tutto lo spazio.

martedì 1 settembre 2009

mani rosse

Gioco con la fine una sfida infantile, mi lascia vincere. Mi preparo al suo arrivo col colore sulle labbra, ripassando le parole per accoglierla. Ma lei oggi è generosa e mi lascia alle mie costruzioni, sa che ogni sera potrà trovarmi: la chiamerò perché non so fare senza i suoi terrificanti racconti.

lunedì 10 agosto 2009

Uscita da Tagliacozzo

Sul tavolo per adrenalina si butta in un secondo la vincita complessiva. Abbiamo vinto tutto e, rigiocando, molto è andato via. Ma se siamo ancora qui ci sarà un doppio fondo in cui scavare. Nelle tasche interne delle giacche, poco di quello che resta, indispensabile per proseguire.
Una sola foto negli occhi basta per attraversare l’oblio del sale. Ancora con l’asfalto pronto, il cuore stanco di obliterare, gli occhi di guardarti rimpicciolire. Ci stenderemmo qui all’aperto per un po’, con le orecchie verso il centro della terra, per scoprire se batte come noi, se l’ha portato lì la mia stessa stanchezza.
Per tornare seguirò il suono delle tue ossa e ricorderò quant’è bello ridere a bocca aperta nei tuoi occhi. Conquisterò quello che sappiamo già di noi per ripeterlo a ogni stazione, ogni volta dall’inizio, senza stancarmi mai.

mercoledì 5 agosto 2009

Saper dire basta. Riuscire ad alzare la testa dal buio che ha cancellato ogni amicizia. Le nasse si sono aperte nella sospensione dell’attesa, nel vuoto della perdita. Una parola, un ricordo, un lapsus, una fuga, qualcosa è rimasto incagliato. La mente che si tortura nell’insonnia.

martedì 28 luglio 2009

1.
L’amante tace. Cerca pace per le parole morte sulla lingua. Cammina in una terra che è solo sua.

2.
Sul verde dei colli si è rifugiata la speranza. Preziosa si fa difendere dalle bestie, scoraggia i viaggiatori e resta solitaria in attesa. Ma io non so raggiungerla e l’anima si chiude su un seme vuoto, trafitto dalla paura.

mercoledì 22 luglio 2009

Le cose dette, e quelle fatte, hanno bruciato la nostra innocenza.
E noi abbiamo perso la sola possibilità per essere nuovi.

sabato 18 luglio 2009

«E’ tanto bella lei,
certo rinascerà.
Il vostro
trentesimo secolo
sorvolerà
lo sciame di inezie che dilaniano il cuore.
Ci ripaghiamo ormai
dell’amore non vissuto
con le stelle di notti senza fine.
Risuscitami,
non foss’altro perché
da poeta
t’ho atteso,
ripudiando le assurdità d’ogni giorno!
Risuscitami,
anche solo per questo!
Risuscitami:
voglio vivere tutta la mia vita!»

V. Majakovski

venerdì 17 luglio 2009

L’amore è un taglio sulla bocca
e non so più parlare
Nascondimi gli occhi con le mani
Che io non veda i tuoi regali

mercoledì 15 luglio 2009

via delle palme

Quando fa così caldo è un’ottima abitudine aprire le porte e lasciare che il vento estivo scorra liberamente. Sono giorni di numerosi segni che indicano un’unica direzione. Sono giorni di riappacificazione, sembra quasi che stiamo imparando a parlare in un’unica lingua.

Il libro di cui non so parlare

«"Mi dica un'ultima cosa" chiese Harry. "E' vero? O sta succedendo dentro la mia testa?"
Silente gli sorrise e la sua voce risuonò alta e forte nelle orecchie di Harry anche se la nebbiolina luminosa stava calando di nuovo e nascondeva la sua sagoma.
“Certo che sta succedendo dentro la tua testa, Harry. Ma perché diavolo dovrebbe voler dire che non è vero?"»

domenica 12 luglio 2009

Scivolando sulla maniglia della nostalgia
Riflessi di ottone sulle mani bianche
Sorrido del passare sotto quest’arco
Ma la corrente difforme affanna la vista.
Nell’afa della nuova estate
Guardo il fiore che travolse l’anno
E penso alla musa alata che ha perso ancora il passo.

La mia signora gioca a confondermi
Nella ricerca di nodi nascosti
La memoria giace sotto di me
Incaglia il piede nelle trame intrecciate
Sorregge il peso di un vivente incerto.
Mentre camminiamo colti all’improvviso da un bagliore nuovo
Cerchiamo l’appoggio di una radice salda
Per non trovarci soli nelle creazioni madreperlacee
di un’aracnofobia ripudiata.
«Amanti! Miserere,
miserere di questa mia giocosa
aridità larvata di chimere!
»

G. Gozzano

venerdì 10 luglio 2009

Ha arrangiato la voce, accordata sul silenzio della stanza notturna. Ha guardato a lungo in quegli specchi scuri per cercare il suggerimento alla domanda. Può sbagliare, toccare il tasto laterale e perdere l’incontro. Sarà arrivata tardi?
Mentre la frutta galleggia provano a sprofondare nel mistero del loro essere vicini, accarezzando le soluzioni nel timore di violarle.
Gli accarezza il volto e i capelli, ascolta il respiro, non chiede di sapere. Non vuole essere l’unica con in mano il giudizio da darsi ogni mattina in preghiera, saltando sui vuoti tra le sue pieghe.

giovedì 9 luglio 2009

Persae

«questo dolore ha troppi volti»
Non tutto è cancellato,
il pane né la neve,
nella terra impastata.
La nave torna al porto.
Non so dire il calore,
né il nuovo fresco.
Non so dire l’amore.
Conservo collane di pesca
per il soffio del vento

lunedì 6 luglio 2009

Nel giorno dell’indipendenza ho contato le mie ceneri. Sui fili d’erba con passo nudo ho scavalcato i miei ricordi. Tornerò per vedere cosa è cresciuto.

venerdì 3 luglio 2009

borderò

Avremmo potuto fare di più. Avremmo potuto farlo meglio. Avremmo potuto ascoltare un po’ di meno e parlare un po’ di più. Avremmo dovuto fare la fila per prendere l’ostia, potevamo saltare in piedi con la mano più in alto. Potevamo aprire la bocca e lasciare la voce risuonare più forte. E non avremmo dovuto ascoltarci. Dovevamo prenderci meno alla leggera, concentrarci su altro fuori dalle nostre orbite cerebrali. Ma siamo caduti in un avvallamento di emotività, il personale ha preso il sopravvento, l’ora dopo le prime otto è diventata più importante. Abbiamo creduto che la lotta fosse un po’ anche lì, che le energie andavano suddivise.
Avremmo dovuto non restituire la precarietà, fingere che fosse giusto così e correre nella nostra ruota. la folla e in ogni luogo e le aule sono già piene, forse dovevamo camminare sulle teste.

martedì 30 giugno 2009

Nel mio sonno, sotto le palpebre.

lunedì 29 giugno 2009

e saremo sempre meno di quello che siamo stati,
col segno indelebile di un infinito annientato.

Z.

Costretto a veglia richiesta, l’ingranaggio sorvegliava sul rispetto della proprietà mentre la mia ira incendiava il luogo che accolse la creatura. Poi, per sempre, nella terra. Mentre sudavi accanto al mio ultimo e silenzioso eri vicino a capire cosa perdevo.
I tuoi denti grandi a strappare la mia pelle, finché non ce n’è stata più. E hai continuato. Negli spazi restano parti a cementare la distanza, e la sabbia risale nel cono alto per scivolare al tempo del mio ricordo.

Botola

Rotola ancora la parola
sul tuo ultimo sorriso per la mia défaillance
il tuo ultimo vero riso per la mia imperfezione.

Peripatendo

È guscio vuoto di cicala sul tronco.
È vuoto il guscio di cicala sul tronco.
Sul tronco è vuoto il guscio di cicala.
Di cicala vuoto è il guscio sul tronco.
È guscio di cicala vuoto sul tronco.
Sul tronco, di cicala è vuoto il guscio.
Guscio di cicala è vuoto sul tronco.
Vuoto sul tronco è guscio di cicala.
Monco.

mercoledì 17 giugno 2009

Correndo incontro al cilindro

Subbuglio bollente di bombardamento indenne. Esco per caso e la luce suona nelle orecchie. Ho trovato un lungo chiodo d’acciaio nel giorno del macello. Il motivo è nascosto nelle assi del letto. Mentre la fame mi sbatte sui denti i corpi si macerano e il legno delle giunture torna a muoversi. Quando ho incontrato un nuovo amico ho pensato che sarebbe stato troppo lontano e felice, ma poi anche i treni sono puntuali e allora tu non sei più tra i tuoi boschi e io ho lasciato la spiaggia del mio Golfo. A Roma le fontane non si chiudono mai, i polsi sotto l’acqua e la pressione sale di nuovo. E allora andiamo, và, che l’aria si fa di nuovo respirare.

venerdì 12 giugno 2009

Licantropie

Il collasso è avvenuto, ma i gatti ancora dormono. Non c’è spazio per le bottiglie, né per la polvere nelle tasche. Bisogna fuggire e non chiedersi dove si sarebbe potuti andare. Bisogna fuggire per trovare la terra e la sabbia da mettere sotto i denti. Ma il camino non era stato ancora acceso e la carta pressata chiude i nostri silenzi. Non dire che non sono stata là, perché io ho visto tutto. Io ho visto ma non potevo parlare, telegrafata troppo in fretta e stordita dal polline nuovo. La scossa m’ha presa e non ho saputo dire quanto sarebbe durata, ma se cerchi nei racconti troverai quello che non vedemmo. Questo sole ha asciugato i muri gonfi, ora ristretti come prugne, e nelle rughe si mostrano le nostre colpe. Quando ho preso la vanga non ho trovato altro che il sacco più vicino, non piangere ti prego. Ho usato quello che avevo, non ho saputo andare più in là. Ma mentre i buchi si riaprono sento che le mie ossa cedono. Tua nonna ci ha preparato il pranzo, lo prenderemo freddo dai sacchetti di cellophane messi in frigo. Ora è tardi per partire, ma se ascolto nella tua pancia le strade iniziano già a segnarsi. Non ho saputo fare di meglio, ma la domenica è arrivata di nuovo e noi siamo ancora indecisi a guardare il cielo troppo limpido per i nostri occhi. Cosa facciamo ancora nello stesso Paese? Cosa ci facciamo ancora sulla stessa Terra? Prendi la prima navicella e vai lontano. Oltre l’ultimo confine ci sarà lo spazio dove potremo finalmente stringerci le mani.

giovedì 4 giugno 2009

«su di noi
il tempo ha già giocato ha già scherzato
ora non rimane che
provar la verità
»

giovedì 28 maggio 2009

Quando piove resta a casa. Mentre Roma ci avvolge di caldo afoso da tubi di scappamento, noi cerchiamo di sopravvivere cercando ancore nei nostri sguardi sporchi di parole. Le tue palpebre pesanti spezzano i sogni che coltivo da sola. Rinuncerò ad ascoltare le promesse non fatte. I desideri passati e ancora vivi muovono le zampe agonizzanti. I pensieri velenosi hanno coperto il sole e sui nostri capelli si poggia l’aria stanca di volare.

domenica 24 maggio 2009


«Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita»

Un nome ripetuto, smontato, ricomposto. Un nome masticato, sempre sulle labbra dell’autore, che ripete come se toccasse ogni volta il suo corpo. Lolita, prima e ultima parola del romanzo, apertura e chiusura di un viaggio in cui l’onda del sentimento e del desiderio cresce e diminuisce per lasciar posto alle lacrime, alla colpa, alla ragione.
Le pagine di Lolita sono dense, sembrano fatte di carne e di sottobosco, si girano con difficoltà, ci affascinano, ci pongono ostacoli, non permettono al lettore una sola distrazione, richiedono continua attenzione, la costante presenza a se stessi. Una lettura affascinante e inquietante, che porta ad una pericolosa empatia con un personaggio odioso, eppure difficile da odiare, per quel suo amore straziante, viscerale che non nasconde ma che apre e analizza con il gusto di tagliare la carne viva per vedere quanto ancora potrà sanguinare.
La storia è famosa, fin troppo, il nome della giovane protagonista, di questa ninfetta, è diventato simbolo e sinonimo di precoce maliziosità femminile. Eppure Lolita è una vittima, che ha saputo salvarsi e ferire chiudendosi in una sfacciataggine infantile, opponendo alla possessività del suo carceriere tutta la diffidenza e la sbruffoneria che i suoi pochi anni le permettevano di avere.
Humbert, il suo “papà”, il suo innamorato, l’uomo che si sarebbe sciolto in lacrime ai suoi piedi ha preso un fiore e l’ha chiuso tra i suoi palmi sudati, si offende e accusa, si ferisce, vittima lui stesso delle sua passione, incapace di tenere a bada il desiderio e la paura.
Sono stata spaventata dall’immedesimazione in cui mi ha trascinata il libro di Nabokov, dal fastidio per l’ipocrisia e le menzogne che Humbert mi ha raccontato, senza saper tagliare con risolutiva accusa il mio giudizio su di lui. Quando un personaggio è reso con la complessità di cui Nabokov è stato capace, quando i suoi pensieri e sentimenti contraddittori vengono esposti senza il fine remoto di creare giustificazioni o di dare subliminali giudizi, allora questo assume tutto lo spessore di un uomo reale. E com’è difficile giudicare gli uomini!

lunedì 11 maggio 2009

"Well, I hope that someday, buddy, we have peace in our lives.
Together or apart, alone or with our wives.
And we can stop our whoring and pull the smiles inside.
And light it up forever and never go to sleep.
My best unbeaten brother, this isn't all I see".

sabato 9 maggio 2009

Non si è fermato nulla. Aprono i cancelli e le scarpe volano. Togli gli occhiali azzurri e fa la tua richiesta. Questo è quello che ho. Per fare lo yogurt basta una notte e domani ne farò ancora. Quando l’aria viene fuori ne chiama altra a sé e non si fermano le correnti.
L’uomo col cappello ha detto che presto arriveremo, ma io penso che lo dica solo per darsi un punto. Segui i numeri sopra le parole e canta. Un casco di bit per nasconderti i miei pensieri, e quando arriverà il sole si seccheranno tutti. Quanto vorrei non camminare sui miei passi. La mancanza dell’assenza svuota più della tua immagine e i riccioli biondi sono ricordi per altre storie.

lunedì 27 aprile 2009

Lontano dal mare piove senza ristoro. La città è vuota e non ci sono passi, né voci, né mani.
Cadono le parole, cadono le lettere, una ad una, sulla mia testa. E non so spostarmi.

domenica 26 aprile 2009

Il guerriero combatta le paure, le tentazioni, la pigrizia e l’indolenza.
Il mago trovi i segni, gli odori, i ricordi, riporti le emozioni, costruisca i sogni.
E allora il cercatore potrà parlare ai fantasmi. Che nella calma sappia trovare la domanda giusta, che sappia fargli dire perché sono tornati e sappia lasciarli liberi. E che vadano via per sempre.

mercoledì 22 aprile 2009

Torto il ciglio alla mosca, prossime ritorsioni, lampi di acuto dolore. I tappi saltano dai denti d’oro e il sangue schizza sugli occhi mascherati.
Non ci saremo più e l’acqua di fronte al mio portone scorre liscia senza ostacoli.
Raccolgo le sillabe nella gola. Aspetterò di vedere questa lama scivolare via.

lunedì 20 aprile 2009

Provare a perdersi solo un po' di più e resistere all'onda d'urto. Servono ossa pesanti per stipulare accordi con la forza di gravità. Un po' del lavoro ce lo metto io. Ma per perdersi bisogna essere solidi e imparare a esserlo da soli.

venerdì 3 aprile 2009

nuvole

Mi sveglio, e va tutto bene, e mentre alcune cose trovano spazio dentro e pian piano si appropriano di zolle di terra in cui affondare le loro protesi tentacolari, e io mi sento come esterina sulla nuvoletta con la differenza che mi si sta costruendo un terrazzo su cui poggiarmi, ci sono delle formiche che corrono impazzite tra le mie costole.

venerdì 27 marzo 2009

compagni

Riempiamo lo spazio che ci divide, siamo sempre uno accanto all'altra e non so se avere paura di questo. Mi sfiori, mi tieni le mani, mi accompagni su questa strada.
Il mio compagno che va un passo avanti a me.
Piovono discorsi sui nostri vestiti leggeri. Giochiamo con parole di cui ignoriamo la forza, per difenderci, per non spaventarci. Stringiamoci le mani e affrontiamo questa paura, la sensazione che insieme stiamo andando verso il fuoco che ci distruggerà e che forse non sarà così dolce come immaginiamo. Ma curiosi e fragili sappiamo che ormai non possiamo più sottrarci ai nostri sguardi e che sapremo amarci dolcemente anche quando dovremo ucciderci. Allora facciamo passi piccolissimi che gustiamo come confetti di dolcissimo veleno, sappiamo che non ha senso affrettarci alla fine perché alla fine c'è solo la morte.
Seguo le briciole che pollicino ha lasciato nell'universo virtuale e con felicità scopro che non mi ha lasciata poi così indietro.
Dalla mia nuova stanza intreccio i fili della comunicazione. Tecnologia disposta a offrirmi il telaio per lo scambio cerebrale. Tesso nuove trame, conservo relazioni, guardo passaggi, seguo le vite e mi sento meno sola.
I'm so happy, 'cause today I found my friends
Dalla voce di F notizie che sciolgono tensioni, che aprono porte, che prospettano un futuro meno arido. Il miele mi inonda il petto, e non so reggere la meravigliosa dolcezza di sapere che a volte le cose vanno come devono andare. E torna un po' di sole a illuminare i ricordi, a ricoprire di luce dorata i souvenir appesi, i fili di nylon che sorreggono frammenti di cerebro ingrigito.
Aspetto che torniate, vi guardo viaggiare, gioisco con voi per le vostre nuove mete.

Vento che fa restare

Cambiano i venti e la luce diventa più chiara. Lo sguardo stavolta riesce a penetrare il tempo, forse stavolta ce la faccio e potrò restare qui, ancora. I fili si riannodano e ciò che sembrava perso torna di nuovo tra le mie mani.

martedì 24 marzo 2009

Angelo

Ho bisogno di una nuova scatola. Ci metterò dentro fogli e occhi, li terrò lì finché non perderanno la loro luce.

lunedì 23 marzo 2009

In loop

Claustofobia.
La casa si restringe e i muri soffocano gli sguardi.Gli sguardi che beviamo e da cui ci facciamo scavare, attraverso porte su porte, oltre le serrature aperte con forza o per inerzia. I muri stretti intorno alla bocca non fanno passare l'aria, ma le mani sono lì, fredde, e lo sguardo è opaco.
Mentre penso a come siamo arrivati qui, mi chiedo, invece, come abbiamo fatto a tenere tutto questo lontano così a lungo. Ripercorrendo la stessa strada, arriviamo allo stesso finale.
Si spezza l'illusione e il gioco finisce, i bambini poggiano i loro giochi sul tappeto e corrono tra braccia conosciute, per offrirsi a baci rassicuranti. Le mie guance umide di sudore sono rosse di vergogna, e mai più vorrò essere qui con le mie parole nelle tasche, sempre le stesse, pronte da offrire come pane stantio.



"Chissà perché se guardi in fondo agli occhi degli amanti vedi,
scritta in grande, evidenziata in rosso,
la parola fine."

venerdì 27 febbraio 2009

aspettando

Aspettando il venerdì, aspettando l'estate, aspettando il ventisette, aspettando che parli, aspettando la sera, aspettando un tavolo libero, aspettando il tram, aspettando un'idea, aspettando i saldi, aspettando una telefonata, aspettando che il cuore scenda al suo posto, aspettando che l'acqua bolla, aspettando un film, aspettando il momento giusto, aspettando l'ora della partenza, aspettando il ritorno, aspettando la fine, aspettando un nuovo inizio, aspettando la luce, aspettando che finisca l'attesa.

lunedì 23 febbraio 2009

Tempo

Ho iniziato parlando del tempo, tutto nasce perché ho perso ogni controllo sullo scorrere degli attimi. Si sono ingranditi, contratti, ristretti, annacquati, riempiti fino a fondersi uno con l'altro in una linea unica che non distinguo più. Un continuo tornare, segni ripetuti, un orologio che segna la stessa ora in più vignette. Segni vomitati dalla porta del sottotesto, immagini catapultate di fronte al mio sguardo. Ho iniziato parlando del tempo, di nuovo, un'altra volta, e ancora la gola è stretta perché manca, perché è finito, perché è finito da un po' e non me ne sono accorta. Accumulando gesti, azioni, cifre, e ora una linea e: addizione. Risultato. . . risultato. . .
Nello spazio tra due punti, tra due virgole che racchiudono un'inciso ho giocato i miei risparmi.
Voglio la forza, e la generosità. Le voglio, voglio che riempiano ogni mio angolo, che siano all'origine di ogni mio pensiero. Voglio cambiare le mie regole, piegare il ferro, cambiare inchiostro ed essere di nuovo.
Il fortissimo desiderio di restingermi e solidificarmi, aumentare il peso specifico, tornare a essere un uovo, rinascere. Stringermi tra le mani, forte, proteggermi e poi esplodere ancora.
Si può chiedere un Time Out?

venerdì 20 febbraio 2009

Il passo sospeso della cicogna. In bilico sul confine, dove dall'altro lato è un'altra nazione, un'altra lingua, un diverso modo di vivere. In sospensione sulla linea, da qui posso guardare ovunque: avanti e dietro di me, e a destra e a sinistra. Da qui posso sostare con te, posso costruire futuri e creare ricordi, ma mai nulla di questo succederà.
Il passo sospeso del felino che non può non attaccare. Mi muovo a mio agio nel rosso del tuo sangue e ne bevo con sete, è il mio alimento. Nuoto dentro le tue costole e succhio la tua essenza. Resterai sconfitto, ma sarò io ad aver perso.
E mentre il piede è fermo la linea si sposta, e mi ritrovo dentro, intrappolata senza possibilità di liberarmi di me.

"Is a hope that somehow you,
Can save me from this darkness."

giovedì 19 febbraio 2009



Apocalisse

Non temiamo, che la fine è vicina. Ma la fine di cosa? Le apocalissi sono molteplici, avvengono in continuazione. Non saremo salvi, e non saremo intatti, saremo superstiti, perchè la fine non rigenera, la fine impoverisce, ai nuovi inizi il compito di rigenerare.

mercoledì 18 febbraio 2009

Qui che c'è smog e l'aria secca i miei occhi mentre le spalle scendono, scendono, e la lana pesa, e l'asfalto come unico rifugio. Non lasciarmi qui con le mie colpe, con le indifferenze ostentate, con un cinismo che non mi appartiene, e la bocca dello stomaco stretta e le nausee che salgono.
Le mie gambe che sanno dove andare ma non me lo dicono, il sole non basta a volte e la luce finisce presto dietro le serrande poco aperte.
Le sue mattine, i suoi caffè, e il latte che non bevo più, e le sigarette, e la centrale elettrica. Scrivo già diari di quello che farò domani, perchè è già materiale per sogni e ricordi, per inconsci affollati e le nostre cassettiere strepiene di noi. E t'ho amato e non ho saputo dirmelo, e ora sei nella mia pancia, lontano anni e anni di vita che non vivremo, e sei una parola che resta sulle mie labbra e sa di te. Meraviglioso corpo sconosciuto che cerco per scappare da quello che non saremo mai.
L'amante che non c'è mi lascia sola e innamorata, mi lascia stanca e speranzosa, mi lascia qui ad amare me, le mie notti e la mia roma, le mie albe e le mie insonnie accolte come tempo regalato. I tempi che non sono più lineari, e si confondono come i fili che ho smesso di intessere, su cui corro a ruota libera senza guardare giù, col brivido della caduta che mi porto dietro sulla nuca, e le mani verso i tuoi minuscoli fianchi.

venerdì 13 febbraio 2009

Apro gli occhi, lenzuola, testa sul cuscino, un po' di luce nella stanza, un corpo vicino a me.
Apro gli occhi, immagini di paesaggio lunare rimaste nella testa, sogni.
Li richiudo. Connessioni interrotte, vago in uno spazio dove non scorre il tempo, e ho perso le sensazioni tattili.
Desiderio di sottrazione, corpo abbandonato, guscio vuoto.
Buon venerdì
buon giorno
buona notte

giovedì 12 febbraio 2009

A volte senti puzza di bruciato, ma ne senti così tanta che ti sembra impossibile che gli altri non se ne accorgano. Ti svegli, c'è il sole, dopo tre mesi di clima londinese vedi il sole, l'ottimismo ti seduce, quasi pensi che, sì, in fondo per una volta puoi mettere da parte paure e scaramanzie e fare dei piccoli, ma davvero minuscoli, passi che indichino una distensione. Così metti un po' d'ordine, lasci dei piccoli segni nell'ambiente in cui momentaneamente esisti, te ne appropri un po' come se lo stessi preparando per restarci. Ma quella puzza rimane, la senti: l'annuncio di un trasloco forzato, gente che va via, un pensiero improvviso che ti chiedi "Perché ci penso proprio ora?"... e poi eccolo lì il fuoco che brucia! Anzi non era propriamente puzza di bruciato, ma un leggero sentore di zolfo, di polvere da sparo, poi ad un certo punto un silenzio sospeso, una nuvola più densa, un riprendere fiato collettivo e trattenere l'aria per un po'. E' il modo in cui si preannuncia una bomba.
Eppure quell'odore rimane, neanche l'esplosione cancella il senso d'attesa, e la domanda che ti fai è se, in realtà, questa non sia una piccola detonazione di avviso, l'avanspettacolo della bomba principe che manderà tutto all'aria e ti costringerà a fare di nuovo la valigia e andare.
Ma non si possono accumulare viaggi su viaggi, saluti dopo saluti, esili dentro l'esilio. Non posso aprire nuovi cerchi concentrici, io ora non ce la faccio ad andare via. Io stavolta, se vado via lo faccio verso un posto solitario, stavolta niente valigia, non porto niente, solo qualche brandello di carne in mano e ago e filo in tasca. Stavolta sto con me, e lascio tutti.

lunedì 9 febbraio 2009

La mente all'erta difende il costato. Affronta la battaglia, gode della corsa, respira, suda, brucia. La mente all'erta vive libera, forte e indipendente. Segue la sua strada. La mente all'erta non ha paura.
Le carezze delle parole sciolgono barriere, succo dolce e dissetante, guarisce le ferite e il sangue sgorga meno. Sento dolci le tue ferite, si incastrano nelle mie, unica carne, pensieri fusi, vicinanze accettate, mani... mani...
Nel carosello di pubblicazioni astrologiche che ogni anno a gennaio invadono edicole e librerie, una stuzzicante novità ha occupato i reparti dedidicati: Sextrology. L’astrologia del sesso e dei sessi, autori Stella Starsky e Quinn Cox, astrologi, performer e, come si definiscono sul loro sito, “commentatori neo-concettuali del sociale”.
Con linguaggio diretto e disinibito, e non senza un certo umorismo, si disserta sui gusti e le inclinazioni sessuali dei dodici segni zodiacali, dandone un profilo completo che va dalle indicazioni pratiche ai riferimenti mitologici e alle informazioni psicologiche.
Con una grafica accattivante e psichedelica, i libretti offrono dritte utilissime per prepararsi al primo appuntamento (tanto per non avere brutte sorprese!). Dei piccoli trattati urbani che precipitano il discorso astrologico dalle evanescenti dissertazioni stellari alle carnali passioni umane.
Ogni libro è suddiviso in sezioni: Segno + Personalità, Corpo + Anima e Sesso + Sessualità, con l’immancabile sezione dedicata alle compatibilità astrologiche, per una volta sia etero che omosessuali, e schede informative sulla numerologia, gli archetipi e, naturalmente, sui giochetti che fanno impazzire i lui/lei del segno.

domenica 8 febbraio 2009

Il colosseo è sempre una meraviglia. E' l'unica cosa che ogni volta mi fa stupire di essere davvero a Roma, come una meta, come la cima di una montagna di paure, improbabilità reali, fughe, rapporti, discrepanze e incontri scalata con cura. Che poi una meta non è, è solo un luogo, il puntino più grande sulla cartina dell'Italia, ma fa così impressione!
Ed ora l'ultima casa da vedere, con Tondelli che in tram mi sussurra rivelazioni sulla sua/mia vita. Aspetto di finirlo per parlarne più a lungo.
Esprimere un desiderio e poi dimenticarlo. Passarlo dal conscio all'inconscio, interiorizzarlo affinché si realizzi. Ma deve essere un desiderio puro. Quale lo è davvero? siamo mobili, mobili e friabili, ci disgreghiamo facilmente, troppo facilmente cambiamo idea e la scala delle nostre piorità muta continuamente.
Una casa, anzi meno, una stanza. Cerco solo una stanza, ancora una stanza. Grande, piccola, lontana, vicina, costosa. Cerco di amalgamare gli ingredienti per ottenere un buon risultato, ma sembra sempre così difficile. Cercare una stabilità fittizia, una vita trimestrale, rende tutto evanescente. Come decidere? é la mia vita? Non mi sembra la mia vita. é la vita di una migrante precaria che si sveglia ogni giorno in esilio. E in esilio è difficile costruirsi una vita, sembra un paradosso, non ci credo neanche io. Svegliarsi con un viso che non riconosco, che non è dentro di me. Svegliarmi e chiedermi chi di chi è il corpo che è steso al mio fianco, come sono capitata qui? E devo davvero lottare per restarci?

"[Thomas stava chiedendogli] quale specie di bizzarria semantica esistesse da fargli dividere il letto con uno sconosciuto. E non riuscendo a rispondere a questa domanda, atterrito dal senso di separazione e di privazione, stava immobile, con gli occhi sbarrati a chiedersi per quale motivo giacesse accanto a un carnefice, a qualcuno che lo stava crudelmente spossessando del sé"

Pier Vittorio Tondelli, Camere Separate

giovedì 5 febbraio 2009


Cinema: Tibur - Roma

Al secondo tentativo siamo riusciti ad entrare; sorvolo i commenti (negativi) sull'antipatia del personale e sulla pessima politica di far iniziare il film precisamente all'ora indicata in locandina privandomi del piacere di seguire i trailer (camera di decompressione tra il dentro e il fuori sala) e il fastidio di vedere i primi 10 minuti di film con le sagome dei ritardatari stagliate sullo schermo.

Il Film: la storia è quella del regista israeliano Ari Folman, ex soldato durante gli attachi israeliani al Libano.
L'animazione sembra essere quella da videogioco: i personaggi sembrano muoversi attraverso un'atmosfera densa, i movimenti sono poco fluidi e metallici, giocati sulla bidimensionalità. Bei colori, belle le atmosfere, i paesaggi, meraviglioso il mare, il silenzio, il cielo.
Il protagonista, dopo aver ascoltato il sogno di un suo amico, ripensa alla guerra, al massacro di Sabra e Chatila, e si rende conto di non ricordare nulla, di non essere in grado di ricostruire i suoi movimenti, di non saper dire dove fosse al momento dell'attacco.
Inizia così la sua ricerca della verità, attraverso la storia personale si ricostruisce la storia controversa di uno dei momenti più vergognosi della battaglia.
Il doppio aspetto memoria personale/memoria collettiva viaggia parallelamente per tutto il film, fino al momento in cui, quasi in sordina, durante una chiaccherata con l'amico psicologo, Ari si rende conto di aver sovrapposto l'immagine della "sua" guerra con i ricordi della Shoa di cui gli avevano parlato i suoi genitori. Lui ha preso parte ad un massacro, la Storia si è capovolta e lui è diventato il nazista. Credo sia una riflessione che si possa amplificare ben oltre la singola vicenda del singolo uomo.
Cosa mi è piaciuto: la rappresentazione della vita dei militari, di questi ragazzini lanciati nella guerra con un fucile in mano, incapaci di gestire la loro paura. Ognuno ha attuato dei personali metodi di rimozione o di estraneamento per riuscire ad affrontare una realtà inaffrontabile. Quando quello che si vede è davvero duro, ognuno gira gli occhi da un'altra parte, oppure rimonta gli elementi forniti per costruirsi un altra scenografia.
Cosa non mi è piaciuto: il finale con le immagini delle donne palestinesi che tornano nel campo dopo lo sterminio dei loro uomini, delle loro intere famiglie. E' senza dubbio d'effetto, e per questo non mi è piaciuto. Dopo aver visto immagini d'animazione per tutto il tempo, trovarsi di fronte quei filmati reali riproposti costantemente in Tv restituisce senz'altro un po' di realtà a quello che ormai sembra diventato fiction, ma puzza un po' di facile ricerca della commozione.

mercoledì 4 febbraio 2009

compio l'anno

Un anno. 365 giorni. Migliaia di ore e minuti. Miliardi di attimi. A Roma.
Era un'altra redazione, con altri incontri e altri saluti mattutini. Erano altre sigarette e pause caffè. E c'erano tante telefonate.
Ora sono qui, ancora, e chissà per quanto con un sistema di collaborazione-esterna-temporanea che mi conserva buona e quieta nell'invisibilità. Bah... quieta non so quanto.
Un anno di contorcimenti di stomaco per ansie lavorativo/personali, eppure...
Eppure ancora nulla so e nulla ho fatto, se non assaggiare qualche cibo nuovo, senza avventurarmi nel troppo esotico.
Festeggiato con chi? Con chi ci vuole, con chi c'è e credo che ci sarà, con quello che è il più diverso, il più divertente e il più inquietante, con quello che non coglierò perchè fa paura. Un anno e c'è ancora tanta paura.