martedì 15 dicembre 2009

Una stanza tutta per sé

André Breton diceva di voler vivere in una «casa di vetro». Era l’anticipazione del Grande Fratello, delle donne in vetrina, dei blog e dei social network. Breton parlava di un luogo in cui essere sempre su un palcoscenico: il voyerismo, il guardare e l’essere guardati.

Io invece volevo una stanza tutta per me e l'ho avuta, ho i miei metri quadrati in cui poter chiudere la porta, spegnere il cellulare ed essere sola. Ma non basta un luogo.
Quand’ero piccola immaginavo che i miei genitori mi spiassero con telecamere nascoste ovunque, anche in bagno. Mi rendevo conto dell’assurdità di questa fantasia, ma non potevo fare a meno di crederlo. Pensavo avessero scoperto il modo per leggere nei miei pensieri. Da grande ho imparato il piacere di ritrovarmi nel letto, sola o in compagnia, ed entrare nella mia stanza. Solo allora, nel buio sotto le coperte, ho capito che quello che avevo nella testa non poteva leggerlo nessuno, ho scoperto che anche con un uomo vicino a me potevo essere in un altro luogo. Ma questo non mi bastava.
Dopo aver imparato la libertà del pensiero individuale ho anche scoperto che la mia identità perdeva consistenza se non si specchiava negli occhi altrui. Ho provato la prigionia del trovare me stessa riflessa in chi mi guardava. Cosa ero senza la condivisione?
Avevo un blog, uno spazio tutto mio e anonimo, in cui scrivere senza che nessuno conoscesse la mia identità. Ma non mi è bastato. Sono caduta nella trappola che temevo: lanciare messaggi, disseminare tracce... e mi sono incatenata.
E così, come quando ero bambina, piego i miei pensieri alla presenza altrui, e quelli più profondi scivolano ancora più in basso, in un posto ancora più lontano.
La vicinanza e la lontananza sono due misure direttamente proporzionali: più ci si avvicina e più ci si allontana, perché esiste un luogo verso cui tendere e dal quale fuggire.
C’è bisogno di un punto, di un nemico o di un amico. Cerchiamo i nostri antagonisti perché le cose abbiano il loro peso. C’è bisogno che qualcuno insista a entrare nei nostri spazi per sentire il bisogno di una stanza tutta per sé.
Il segreto è stato svenduto e la nudità ha perso ogni attrattiva. Le bocche spalancate a ingorghi di parole, le barriere sono cadute e non c’è più sovranità sui pensieri. Affogati nelle nostre stesse adulazioni abbiamo lasciato che si prendessero tutto con i baci e le promesse. Aperti i portoni ogni cosa è stata saccheggiata e i tetti delle chiese sono stati bombardati.
Il silenzio ci allontana ma le parole si svendono facilmente e somigliano troppo ai chewingum masticati a lungo, hanno smarrito sapore e significato. Solo i simboli resistono ancora. I segni primari, i ricordi, gli oggetti che conservano le impronte.
Non lo so più dov’è la stanza tutta mia, forse nelle parole cancellate da Word, taciute per stanchezza e per pudore, laddove è sopravvissuto, dove ancora c’è una terra da difendere. Sono rimaste nelle orecchie di chi le ha sapute ascoltare, di nuovo lontane da me, di nuovo specchiate in altri occhi.
In questa stanza non ci sono note da trovare, ferme come lucertole, la luce ha spazzato via ogni cosa e gli odori sono usciti dalle finestre troppo aperte. Lasciar entrare chiunque è il tradimento primario, tradite le parole muoiono i pensieri e brucia ogni luogo: quello da cui partire e quello a cui arrivare.

2 commenti:

  1. ho letto un po' random e mi hai stregato
    sono felice di aver sfiorato la tua vita e far parte adesso dei tuoi lettorianonimi

    ovviamente kafka sulla spiaggia è tornato sul mio comodino, e tra polvere e orecchiette ci rimarrà a lungo.

    un bacio

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  2. onorata di averti qui, e di potermi essere affacciata un po' nelle tue stanze

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