giovedì 5 febbraio 2009


Cinema: Tibur - Roma

Al secondo tentativo siamo riusciti ad entrare; sorvolo i commenti (negativi) sull'antipatia del personale e sulla pessima politica di far iniziare il film precisamente all'ora indicata in locandina privandomi del piacere di seguire i trailer (camera di decompressione tra il dentro e il fuori sala) e il fastidio di vedere i primi 10 minuti di film con le sagome dei ritardatari stagliate sullo schermo.

Il Film: la storia è quella del regista israeliano Ari Folman, ex soldato durante gli attachi israeliani al Libano.
L'animazione sembra essere quella da videogioco: i personaggi sembrano muoversi attraverso un'atmosfera densa, i movimenti sono poco fluidi e metallici, giocati sulla bidimensionalità. Bei colori, belle le atmosfere, i paesaggi, meraviglioso il mare, il silenzio, il cielo.
Il protagonista, dopo aver ascoltato il sogno di un suo amico, ripensa alla guerra, al massacro di Sabra e Chatila, e si rende conto di non ricordare nulla, di non essere in grado di ricostruire i suoi movimenti, di non saper dire dove fosse al momento dell'attacco.
Inizia così la sua ricerca della verità, attraverso la storia personale si ricostruisce la storia controversa di uno dei momenti più vergognosi della battaglia.
Il doppio aspetto memoria personale/memoria collettiva viaggia parallelamente per tutto il film, fino al momento in cui, quasi in sordina, durante una chiaccherata con l'amico psicologo, Ari si rende conto di aver sovrapposto l'immagine della "sua" guerra con i ricordi della Shoa di cui gli avevano parlato i suoi genitori. Lui ha preso parte ad un massacro, la Storia si è capovolta e lui è diventato il nazista. Credo sia una riflessione che si possa amplificare ben oltre la singola vicenda del singolo uomo.
Cosa mi è piaciuto: la rappresentazione della vita dei militari, di questi ragazzini lanciati nella guerra con un fucile in mano, incapaci di gestire la loro paura. Ognuno ha attuato dei personali metodi di rimozione o di estraneamento per riuscire ad affrontare una realtà inaffrontabile. Quando quello che si vede è davvero duro, ognuno gira gli occhi da un'altra parte, oppure rimonta gli elementi forniti per costruirsi un altra scenografia.
Cosa non mi è piaciuto: il finale con le immagini delle donne palestinesi che tornano nel campo dopo lo sterminio dei loro uomini, delle loro intere famiglie. E' senza dubbio d'effetto, e per questo non mi è piaciuto. Dopo aver visto immagini d'animazione per tutto il tempo, trovarsi di fronte quei filmati reali riproposti costantemente in Tv restituisce senz'altro un po' di realtà a quello che ormai sembra diventato fiction, ma puzza un po' di facile ricerca della commozione.

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