lunedì 19 aprile 2010

going to

Di nascosto per non spaventarci, in silenzio per non ferirci, da lontano per non scontrarci. Con la luce necessaria per non perderci di vista, con le mani a cercare gli avambracci, con i piedi per scaldarci.
Con le suole di ovatta, senza dircelo, guardando altrove.

giovedì 15 aprile 2010

5&1/2

È stato un colpo di vento questa mattina a farle sobbalzare le palpebre. Un rumore sordo e improvviso uscito dai suoi sogni. Gli occhi aperti nel buio e le orecchie tese a cogliere una nuova avvisaglia meteorologica sulle prospettive future. Niente. Silenzio costante. Con quel mutismo atmosferico diffuso dalle persiane, ha tirato via il braccio semi addormentato da sotto la sua schiena e ha aspettato. Non il sonno, che quello ormai era fuggito verso i contenitori di speranze non riciclabili fuori dal portone di ingresso. Aspettava che la nuova ondata arrivasse, e non s'è fatta attendere.
Non le serviva accendere i portatori informatici di notizie per scoprire che la situazione era infognata in uno stagno congelato di velluto solido, le bastava quel po' di senso della realtà ritornatole proprio allora, alle cinque e mezza del mattino.
Silenzio. Silenzio e lui che dorme al suo fianco.
Ma sì, preoccuparsi di che? Quanto ancora avrebbe potuto restare lì? Quanto ci avrebbero messo gli esattori dei sogni a scoprire che in fondo lei era in debito e avrebbe dovuto restituire tutto il trafugato?
E così si gira a guardarlo: bianco. Lui è bianco come un letto di neve, lui splende col suo mento volitivo come i protagonisti delle storie che umidificano le notti delle signore di mezza età. “Volitivo”, fa pensare alle pale eoliche. Eppure quel mento è una valle solida su cui camminare, è la promessa di una risolutezza celata, di una forza trattenuta.
Il rumore di una porta che si apre, una che si chiude, un rubinetto aperto. Il coinquilino che si avvia alla sua scrivania e lei da una privilegiata posizione di nullafacenza a godersi lunghe ore di pigrizia inoccupazionale all'ombra di un conto in rosso. Non si sentiva poi così fortunata.
Tra un po' sarà giorno e il sole potrà nascondersi dietro le nuvole di aprile. Un sogno, il mare, per vedere nell'acqua che si agita i suoi stessi pensieri arrotolati, per sentire la compagnia di una tempesta.
Con le dita gli sfiora la schiena, un bacio sulla sua spalla, lui che si gira, nel sonno la abbraccia. Uno dei suoi momenti preferiti: vederlo allungarsi verso di lei nell'incoscienza dormiente, come se fosse un bisogno istintivo. Cercarla.
Ma c'è il soffitto che fa a gara con quello stesso pallore, un soffitto pesante che offre migliaia di spunti di riflessione alla sua mente indaffarata, che compete in attrazione per la sua forza ipnotizzante: lasciare lo sguardo posarsi e trovare solo calce.
Poggia il viso sul suo stesso cuscino, ne aspira l'odore.
Come sarebbe tutto perfetto se potesse crogiolarsi nei soliti problemi relazionali. Invece lui è lì, lei ne gode la momentanea presenza, ma l'assalto del giorno sottrae calore alle ultime ore. Un lavoro, lì fuori, ci sarà? E dove? Quando?
Pensieri banali, tormentone del decennio, noia, ripetizione.
Il suo senso estetico si ribella, la sua intelligenza si tedia, la sua curiosità fa i capricci.
Poi pensa che sta arrivando il giorno, e che sarà un bel giorno, una distesa di ore nuove per trovare soluzioni inaspettate, possibilità in attesa di Colombo. E si gira di nuovo, con la schiena sul suo petto, ripensa alle sue luminose previsioni: “Pollyanna di merda!”.

mercoledì 7 aprile 2010

alici

Torniamo da Roma, Milano, Bologna. Riempiamo i treni da Firenze, Parma, Torino. Riversati nelle stazioni, abbracciati ai ricordi, carichi di fumo e tensioni osteoarticolari. Con la tendinite, con la spina dorsale curva e gli occhi affaticati. Arriviamo qui e ci riversiamo nelle strade, sul lungomare, nei vicoli stretti, a farci sbattere in faccia il vento salino, arrampicati sulle dune, stravolti a tavolini di campari e birra.
Nella bottega di Peppe Sciolino che sa di piedi e sudore, a decifrare la lingua dei pescatori a tuffarci in un piatto a tre euro. Stavolta abbiamo aperto quella porticina nascosta e seguito il percorso nell'isola ritrovata che c'ha ridate a noi.
Con la perfezione di un viaggio organizzato nell'inconscio, ho chiuso il cerchio strappando voce e polpacci nella Città Vecchia.
Mente e corpo, tralasciando un piccolo scarto, tornano a camminare in sincronia. Il cuore sempre a parte, con le sue cronologie inverse.