venerdì 12 giugno 2009

Licantropie

Il collasso è avvenuto, ma i gatti ancora dormono. Non c’è spazio per le bottiglie, né per la polvere nelle tasche. Bisogna fuggire e non chiedersi dove si sarebbe potuti andare. Bisogna fuggire per trovare la terra e la sabbia da mettere sotto i denti. Ma il camino non era stato ancora acceso e la carta pressata chiude i nostri silenzi. Non dire che non sono stata là, perché io ho visto tutto. Io ho visto ma non potevo parlare, telegrafata troppo in fretta e stordita dal polline nuovo. La scossa m’ha presa e non ho saputo dire quanto sarebbe durata, ma se cerchi nei racconti troverai quello che non vedemmo. Questo sole ha asciugato i muri gonfi, ora ristretti come prugne, e nelle rughe si mostrano le nostre colpe. Quando ho preso la vanga non ho trovato altro che il sacco più vicino, non piangere ti prego. Ho usato quello che avevo, non ho saputo andare più in là. Ma mentre i buchi si riaprono sento che le mie ossa cedono. Tua nonna ci ha preparato il pranzo, lo prenderemo freddo dai sacchetti di cellophane messi in frigo. Ora è tardi per partire, ma se ascolto nella tua pancia le strade iniziano già a segnarsi. Non ho saputo fare di meglio, ma la domenica è arrivata di nuovo e noi siamo ancora indecisi a guardare il cielo troppo limpido per i nostri occhi. Cosa facciamo ancora nello stesso Paese? Cosa ci facciamo ancora sulla stessa Terra? Prendi la prima navicella e vai lontano. Oltre l’ultimo confine ci sarà lo spazio dove potremo finalmente stringerci le mani.

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