mercoledì 26 gennaio 2011

una cosa da qui


Quando l'ha incontrata nella piazza di tufo bianco l'ha stretta senza chiederle il permesso. L'ha avvolta e zittita, l'ha immobilizzata, l'ha aggrappata a sé, e lontano sentiva l'eco dei muri che cadevano. Ma resta a lungo il mal di pancia per le lacrime ingoiate, gli incubi sono crusca nelle pieghe intestinali e i muri crollano lasciando tanta polvere.

lunedì 24 gennaio 2011

gennaio

Nell’andare via ho detto a mia madre che non avrei tardato, ma ho preso una penna in più per non fermare le parole e non svuotare il tempo. La sabbia è grossa, fatta di frammenti di conchiglie e sassi, ricopre la pelle come squame, come pelle di crostaceo.
Nella mia stanza.
C’è un letto a seicento chilometri da qui, c’ho dormito a lungo ultimamente, l’ho vissuto molto negli ultimi due anni: potrei chiamarlo mio.
Pensavo alle caselle email; non serve molto per aprirle: uno username, una parola conosciuta, l’indicazione per essere trovata. E una password, un segreto, una parola celata, un silenzio per poter scomparire.
La dimensione della mia crescita la misuro a tacche sul muro contando i centimetri di parole accumulate, che ho imparato a non dire. E così penso di diventare adulta.
Questo mare calmo e silenzioso è come babbo quando sta per mettersi a urlare, è quel silenzio notturno quando i pensieri stanno per esplodere.
Ho regalato un ricordo, forse, o forse è una dimenticanza. Ha fatto un lungo viaggio e s’è fermato, su un altro legno, sotto il mio segno bianco di lumaca.
Penso ai cuori graffiati dai gatti quando fanno il pane e staccano pezzi della nostra pelle per scavare più in fondo. Prendono la nostra anima, i gatti, la portano sui baffi per farsi luce di notte. Invece io la notte cerco la luce nella calce del soffitto, conto le pennellate vicino al comodino.
Ti ricordi il giorno in cui, entrando in casa con le mani che tiravano le valigie e le spalle che reggevano gli zaini, abbiamo trovato la parete coperta dalla muffa? Era bianca alla nostra partenza, l’avevamo coperta noi, pennellata in ventiquattr’ore con le gocce sui capelli. Tu avevi lasciato delle grosse chiazze di vernice sul muro affianco al letto. La sera, illuminata dall’abat-jour, ci leggevo facce e strade; era un grande arazzo di bolle incastrate nella tempera seccata. E ti prendevo in giro, che non eri fatto per i lavori domestici, come tuo padre. Ma questo non te lo dicevo, tocca a noi ironizzare sui nostri uomini neri.
Ed era nera la parete, e io sentivo la stanchezza improvvisa cadermi addosso.
Tornare qui serve nella misura in cui racconto che può guarirmi. È solo una storia della buonanotte, come dire che tutto andrà bene. I popoli inventano favole per ordinare la realtà, e, se le storie danno la forma delle cose, un po’ le creano anche.
È solo per questo che continuo a parlare, e le tacche sul muro non aumentano.

lunedì 17 gennaio 2011

contro quale muro potrò giocare il mio pensiero duro che non vuole essere libero?