martedì 15 settembre 2009

Trafugo rete in ore tarde per poter essere lontano e non sentire questo abbandono. Ma se è l’unica portata servita, allora non mi alzo e vuoto il mio piatto. Un’immagine riflessa dei miei desideri delusi, per riempire l’aria e aprire la bocca, perché i denti possano mordere.
E smetti di sorridere, sapresti essere il mio angelo? Sapresti dire le parole di cui ho bisogno, parlare con me mentre mi allontano da questa stanza e i mattoni si perdono sotto le mie suole? Spaventapasseri di gommalacca per le mie fantasie più atroci. Provo a ordinare le parole sui ritagli, la pasta di legno pressata per le mie costruzioni. Quello che sento lo invento per giocare con le mie bambine, non leggete ciò che non sapete capire, parlate con me perché dalla porta di dietro arrivano stralci e grida. Le urla notturne e l’amore frantumato a dieci anni, e il dolore e l’abbandono io li rivivo ogni notte, in un teatro della tortura per allenare le mie vene.
Poche orecchie per le parole. Non capitemi o dovrò cacciarvi via, nessuna mano tiene i fili, continuate a crederlo. L’illusione della realtà non va distrutta o ci troveremo tutti qui, nudi, a guardarci le mani, indifesi e poco interessanti, e non avremo altro da mostrare che i nostri movimenti intestinali.

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