giovedì 14 ottobre 2010

Fa freddo, e io vorrei bere una bottiglia dopo l’altra sotto un cielo violento di stelle. Con la punta del naso gelata fuori dal cappuccio, alzare le mie mani ristrette e bere in faccia a tutto quello che c’è nel mondo. Oggi vorrei bere alle amiche lontane, ai giorni in cui ci scaldavamo col calore dei fianchi, sedute attaccate a succhiarci i pensieri e le sensazioni. Quando inventavamo ricordi che non abbiamo mai avuto e costruivamo delusioni che ci aspettavano un po’ più in là. Vorrei bere per chi tradisce le mie aspettative per realizzare i miei più profondi desideri, mentre guardiamo il tempo che scivola lontano e lanciamo la nostra felicità intorno a noi. Voglio bere per le parole che ho lasciato dire ad altre bocche, ascoltando il mio stesso pensiero ripetuto in una cassa armonica di altre volontà. Sono nella città che ho immaginato, con la vita che ho fatto per me: trasparente e leggera, che mi ferisce a ama, che mi sbatte a terra e mi fa ridere col dolore della carne. E non voglio avere paura della banalità, e non lasciarmi spaventare dai proverbi e dagli stereotipi. Voglio riempirmi la bocca di marzapane e grattarmi la testa, a lungo, scrupolosamente.
Un capitombolo di responsabilità immaginarie, come se il denaro avesse un valore! Come se la realtà avesse delle coordinate! Siamo fatti per stare un po’ più in là di tutto questo, altrimenti non avremmo caldo né freddo e la pioggia non ci bagnerebbe. Se sapessero che ci hanno rinchiuso in una stanza senza soffitto da cui non occorre fuggire! Ah, dio! Potremmo riderne per giorni!

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