giovedì 14 ottobre 2010

la conta

Non ho fatto bilanci, e non mi sono sentita triste: mi sono solo stupita e dall’esplosione del mio stupore è uscita compatta una nuvola di denso fumo blu.
Ho stappato una bottiglia di Amarone che è scivolato in archi stretti e vicini sul vetro sottile sottile che suona sotto le dita.
“E so che non riuscirei a fermarti, anche se ne avessi le forze non riuscirei a farlo…”.
Girano le mie amiche nell’aria che mi circonda, nel grande vaso vuoto sul cui fondo poggio in piedi.
Ho trovato un posto alle cose: uno spazio per la violenza dell’amore, uno per l’identità, uno per i pensieri tanto profondi e tristi da notte oscura, uno per la nostalgia. La curiosità, la fiducia, lo splendore delle mattine li spargo qua e là come polvere dorata sopra i miei libri.
Mi sono svegliata. Ho visto i volti ingrandirsi e le rughe profonde nei miei compagni di sedile, come se all’improvviso avessi acceso la luce. Sono tornati i brividi e la concentrazione, come se poi la luce si fosse un po’ abbassata per fare pulizia dei pensieri inutili.
E non vorrei scrivere con la voce bassa dell’addio, ma farlo gridando come se fosse l’ultimo giorno della mia vita, e ridendo come se tutto finisse in questo istante, e piangendo come se fossi nata solo ora.

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