lunedì 15 marzo 2010

die zeit

Penso che per un po' mi fermerò. Le parole non trovano più la forma indispensabile per uscire, ora l'urgenza è in altri luoghi. Ora le parole servono per vestire concetti, per ordinare il caos, per parlarmi, per raccontarmi e spiegarmi. Ora quello che dico deve restare tra le dite, dalla penna alla pagina, forse ritrovare la scrittura fisica, quella che macchia di inchiostro i polpastrelli, quella che riverso sui miei fogli color avorio durante gli attraversamenti sul 19. Quello che scrivo ferma su una delle rare panchine romane, che in questa città ci sono tante fontane ma pochi spazi per fermarsi, pochi angoli riparati per rullare una sigaretta e scegliere la canzone adatta da somministrare in cuffia.
A volte la scrittura diventa ansia di comunicare, vuole dire troppo e non sa nascondersi. E, quando si decide che è finito il tempo di fuggire, i pensieri escono fuori di getto irrequieti, ma poco interessanti.
È arrivato il momento di riprendere le parole nella bocca e succhiarle, di stringerle e farle asciugare. Ora è il momento di parlare e aprire i pensieri, mandarli in giro a recuperare significati nuovi, lasciare che si aprano come tessuti lisi, che si leghino ad altre trame, e poi riprenderli dentro e rammendarli.
Ora si cancellano i sostituti, si richiamano i sosia, si distruggono gli avatar. Ora ci si mette la faccia e il dolore, senza nascondersi. Ma le parole hanno bisogno di buio e silenzio, di sangue vero, quello che si incrosta sul cuore, quello che va grattato minuto dopo minuto.
Ora le parole sono quelle delle mail lasciate in bozza nella casella di posta, negli sms non inviati, nelle simulazioni di discorsi. Quando la notte mi sveglio e mi racconto storie, quando mi torturo, quando immagino gli scenari peggiori, quando vedo solo spalle e abbandoni, quando decido di essere sincera. E in questi momenti ripenso a chi mi dice che io so lottare, a chi dice che mi sceglierebbe come compagna per affrontare i vampiri.
Quando si attraversano percorsi lunghi e oscuri bisogna affidarsi a tracciati pregressi, a quelli che siamo riusciti a disegnare nei momenti di lucidità, a quelli che i nostri aiutanti hanno disegnato per noi.
Sono in un campo magnetico, sento il rumore dello strappo, sento le forze di attrazione e repulsione lottare. Mi chiedo se è poi vero che in fondo vicinanza e lontananza non sono altro che misure geografiche, so che la paura è solo un cedimento della mente e che temere la perdita è una debolezza dello spirito.
Resto in quello che non so, mi costruisco su ciò che manca, riempio le assenze e cerco il silenzio e l'oscurità di nuove parole, idrocarburi da bruciare per illuminare un'altra mattina.

...con il mare negli occhi...

water#1
water#2
water#3
water#4

Nessun commento:

Posta un commento