giovedì 11 febbraio 2010

Nel fondo profondo di un pozzo pieno i suoi occhi mi guardano. Sorride di me. Restiamo così, in silenzio a osservarci e io non dico nulla. Vorrei allungare una mano per prenderlo, ma non lo faccio. Vertigine. Accarezzo l'acqua scura con l'indice. Poggio appena il polpastrello dell'indice destro, è fredda e ritraggo in fretta la mano. Vorrei allungarmi e accarezzarlo, ma non oso. I suoi occhi sono scuri eppure illuminano quella profondità. Negli occhi degli angeli c'è il fuoco. Ho paura di quello spazio di cui non vedo fine.
Eppure.
Questa paura la cerco, cerco l'oscurità di quello sguardo. Chiudo gli occhi e mi avvicino alla superficie liquida. La sfioro appena con il naso, sento l'odore freddo, immergo il viso. Il fresco sulle palpebre chiuse, sento un brivido che mi accarezza le orecchie. Ricordi.
Resto immobile a osservare, sul bordo.

Parole.
Accarezzarci con le parole, camminare sul filo dei significati.
Eppure.
I sensi arrivano all'insaputa, gli enigmi si svelano senza preavviso.
E poi.
Non so restare qui a guardare, non so fermare il desiderio, non posso andare oltre quello che vedo, ma camminare incontro alla fine.
Non abbiamo altro all'infuori delle nostre mani e gambe e ossa. Me lo ripeto.
La vergine analizza e la bilancia bilancia, ma la vergine è la terra, madre dal ventre caldo e sporco, madre dalle mani grandi e bocca umida. Gli schemi si rompono continuamente in ogni gesto, le parabole muoiono, le metafore si svuotano.
Siamo tutti uguali e rincorriamo gli stessi desideri. Sullo stesso carro rincorso dal fuoco, con gli occhi avanti e medesime paure sulle spalle.

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