giovedì 28 maggio 2009

Quando piove resta a casa. Mentre Roma ci avvolge di caldo afoso da tubi di scappamento, noi cerchiamo di sopravvivere cercando ancore nei nostri sguardi sporchi di parole. Le tue palpebre pesanti spezzano i sogni che coltivo da sola. Rinuncerò ad ascoltare le promesse non fatte. I desideri passati e ancora vivi muovono le zampe agonizzanti. I pensieri velenosi hanno coperto il sole e sui nostri capelli si poggia l’aria stanca di volare.

domenica 24 maggio 2009


«Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita»

Un nome ripetuto, smontato, ricomposto. Un nome masticato, sempre sulle labbra dell’autore, che ripete come se toccasse ogni volta il suo corpo. Lolita, prima e ultima parola del romanzo, apertura e chiusura di un viaggio in cui l’onda del sentimento e del desiderio cresce e diminuisce per lasciar posto alle lacrime, alla colpa, alla ragione.
Le pagine di Lolita sono dense, sembrano fatte di carne e di sottobosco, si girano con difficoltà, ci affascinano, ci pongono ostacoli, non permettono al lettore una sola distrazione, richiedono continua attenzione, la costante presenza a se stessi. Una lettura affascinante e inquietante, che porta ad una pericolosa empatia con un personaggio odioso, eppure difficile da odiare, per quel suo amore straziante, viscerale che non nasconde ma che apre e analizza con il gusto di tagliare la carne viva per vedere quanto ancora potrà sanguinare.
La storia è famosa, fin troppo, il nome della giovane protagonista, di questa ninfetta, è diventato simbolo e sinonimo di precoce maliziosità femminile. Eppure Lolita è una vittima, che ha saputo salvarsi e ferire chiudendosi in una sfacciataggine infantile, opponendo alla possessività del suo carceriere tutta la diffidenza e la sbruffoneria che i suoi pochi anni le permettevano di avere.
Humbert, il suo “papà”, il suo innamorato, l’uomo che si sarebbe sciolto in lacrime ai suoi piedi ha preso un fiore e l’ha chiuso tra i suoi palmi sudati, si offende e accusa, si ferisce, vittima lui stesso delle sua passione, incapace di tenere a bada il desiderio e la paura.
Sono stata spaventata dall’immedesimazione in cui mi ha trascinata il libro di Nabokov, dal fastidio per l’ipocrisia e le menzogne che Humbert mi ha raccontato, senza saper tagliare con risolutiva accusa il mio giudizio su di lui. Quando un personaggio è reso con la complessità di cui Nabokov è stato capace, quando i suoi pensieri e sentimenti contraddittori vengono esposti senza il fine remoto di creare giustificazioni o di dare subliminali giudizi, allora questo assume tutto lo spessore di un uomo reale. E com’è difficile giudicare gli uomini!

lunedì 11 maggio 2009

"Well, I hope that someday, buddy, we have peace in our lives.
Together or apart, alone or with our wives.
And we can stop our whoring and pull the smiles inside.
And light it up forever and never go to sleep.
My best unbeaten brother, this isn't all I see".

sabato 9 maggio 2009

Non si è fermato nulla. Aprono i cancelli e le scarpe volano. Togli gli occhiali azzurri e fa la tua richiesta. Questo è quello che ho. Per fare lo yogurt basta una notte e domani ne farò ancora. Quando l’aria viene fuori ne chiama altra a sé e non si fermano le correnti.
L’uomo col cappello ha detto che presto arriveremo, ma io penso che lo dica solo per darsi un punto. Segui i numeri sopra le parole e canta. Un casco di bit per nasconderti i miei pensieri, e quando arriverà il sole si seccheranno tutti. Quanto vorrei non camminare sui miei passi. La mancanza dell’assenza svuota più della tua immagine e i riccioli biondi sono ricordi per altre storie.