martedì 30 giugno 2009

Nel mio sonno, sotto le palpebre.

lunedì 29 giugno 2009

e saremo sempre meno di quello che siamo stati,
col segno indelebile di un infinito annientato.

Z.

Costretto a veglia richiesta, l’ingranaggio sorvegliava sul rispetto della proprietà mentre la mia ira incendiava il luogo che accolse la creatura. Poi, per sempre, nella terra. Mentre sudavi accanto al mio ultimo e silenzioso eri vicino a capire cosa perdevo.
I tuoi denti grandi a strappare la mia pelle, finché non ce n’è stata più. E hai continuato. Negli spazi restano parti a cementare la distanza, e la sabbia risale nel cono alto per scivolare al tempo del mio ricordo.

Botola

Rotola ancora la parola
sul tuo ultimo sorriso per la mia défaillance
il tuo ultimo vero riso per la mia imperfezione.

Peripatendo

È guscio vuoto di cicala sul tronco.
È vuoto il guscio di cicala sul tronco.
Sul tronco è vuoto il guscio di cicala.
Di cicala vuoto è il guscio sul tronco.
È guscio di cicala vuoto sul tronco.
Sul tronco, di cicala è vuoto il guscio.
Guscio di cicala è vuoto sul tronco.
Vuoto sul tronco è guscio di cicala.
Monco.

mercoledì 17 giugno 2009

Correndo incontro al cilindro

Subbuglio bollente di bombardamento indenne. Esco per caso e la luce suona nelle orecchie. Ho trovato un lungo chiodo d’acciaio nel giorno del macello. Il motivo è nascosto nelle assi del letto. Mentre la fame mi sbatte sui denti i corpi si macerano e il legno delle giunture torna a muoversi. Quando ho incontrato un nuovo amico ho pensato che sarebbe stato troppo lontano e felice, ma poi anche i treni sono puntuali e allora tu non sei più tra i tuoi boschi e io ho lasciato la spiaggia del mio Golfo. A Roma le fontane non si chiudono mai, i polsi sotto l’acqua e la pressione sale di nuovo. E allora andiamo, và, che l’aria si fa di nuovo respirare.

venerdì 12 giugno 2009

Licantropie

Il collasso è avvenuto, ma i gatti ancora dormono. Non c’è spazio per le bottiglie, né per la polvere nelle tasche. Bisogna fuggire e non chiedersi dove si sarebbe potuti andare. Bisogna fuggire per trovare la terra e la sabbia da mettere sotto i denti. Ma il camino non era stato ancora acceso e la carta pressata chiude i nostri silenzi. Non dire che non sono stata là, perché io ho visto tutto. Io ho visto ma non potevo parlare, telegrafata troppo in fretta e stordita dal polline nuovo. La scossa m’ha presa e non ho saputo dire quanto sarebbe durata, ma se cerchi nei racconti troverai quello che non vedemmo. Questo sole ha asciugato i muri gonfi, ora ristretti come prugne, e nelle rughe si mostrano le nostre colpe. Quando ho preso la vanga non ho trovato altro che il sacco più vicino, non piangere ti prego. Ho usato quello che avevo, non ho saputo andare più in là. Ma mentre i buchi si riaprono sento che le mie ossa cedono. Tua nonna ci ha preparato il pranzo, lo prenderemo freddo dai sacchetti di cellophane messi in frigo. Ora è tardi per partire, ma se ascolto nella tua pancia le strade iniziano già a segnarsi. Non ho saputo fare di meglio, ma la domenica è arrivata di nuovo e noi siamo ancora indecisi a guardare il cielo troppo limpido per i nostri occhi. Cosa facciamo ancora nello stesso Paese? Cosa ci facciamo ancora sulla stessa Terra? Prendi la prima navicella e vai lontano. Oltre l’ultimo confine ci sarà lo spazio dove potremo finalmente stringerci le mani.

giovedì 4 giugno 2009

«su di noi
il tempo ha già giocato ha già scherzato
ora non rimane che
provar la verità
»