sabato 13 febbraio 2010

Che in fondo le differenze ci sono ed è inutile ignorarle. E poi alcune cose restano e capita una mattina di sole di sentire un odore entrare con la luce dalla finestra aperta. E così sono nella cucina di via Castriota, a guardare il vapore salire da una pentola di terracotta e sfiorare il prezzemolo sul davanzale. Ti ricordi? Non funzionava il citofono, e gli amici fischiavano e io mi affacciavo sulla strada stretta per farli entrare. Ti ricordi il tempo a guardare il terrazzo di fronte? Doveva essere di un pezzo grosso, era così bello nel bianco di quella pietra, e noi a progettare le nostre architetture. Volevo un albero di limoni, sarebbe stato il primo acquisto, e avrei raccolto i cani dalla strada e tu avresti borbottato e detto che non potevo amare tutti, perché le ferite che avevamo non ci lasciavano sognare in pace. Ma io avrei comunque preso i cani e gatti per farli morire sui nostri divani sfatti. Avremmo arato la terra per seppellirli e io avrei continuato a cercare nei branchi una reincarnazione.
Ora il fumo metropolitano si posa sui nostri capelli e i pensieri volano più lenti. Ora la comunicazione è un file binario e i telefoni cadono nell'ammoniaca.
È vero: cucinare per sé è diverso, e non nelle quantità.
È vero che cerco la famiglia, perché in fondo le differenze ci sono, l'ho detto. Siamo fatte per creare il nido. Io lo metto su con aghi di pino e foglie di betulla, li intreccio leggeri e lascio che il vento faccia la sua parte.

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