martedì 8 novembre 2011

TaRo

Andrei via anche domani da qui per sentirmi dire che manco, per sentirmi dire ritorna, per lanciarmi su una rete.
Ma la mancanza arrivata ora è solo la faccia di una creatura con le gambe lunghe mesi e i piedi in un’altra stagione. E mi commuove “ti penso quando ho paura” perché mi manca quella paura. Mi manca David B. che scende attraverso tre sotterranei mentre piazza vittorio è piena di sole, io ho perso il treno per Reggio Emilia e le palline di plastica colorata sono scivolate sul pavimento della stazione Termini. E forse di là in poi non c’ho creduto più. Mi sono salutata su quel binario e sono tornata a casa, con Diario italiano sulle ginocchia e l’autista che mi guardava dallo specchietto retrovisore. C’era tanta luce attorno e io portavo il buio poggiato sui pantaloni.
Qualcuno s’è appropriato del nome della mia città per dire che non può amarla. Ma, se sei nato qui, che a questa città non puoi essere fedele lo sai da sempre, che non saprai proteggerla, che non potrai rispettarla, che ne parlerai male, che ti batterai solo a parole, che la saprai guardare solo da lontano. Noi ci osserviamo con circospezione chiedendoci già in che modo saprai fotterci, come farai a scoprirci il culo, quand’è che ci lascerai soli. E forse ci sono luoghi che devono lentamente seccarsi, come Taranto sempre piena di sole mentre l’Italia annega, luoghi che devono scoppiare ingrassati dalla loro voglia, come Roma-grasso-di-balena, e posti che fioriranno, che nasceranno e ancora non hanno un nome.
Qui si viene a seppellirsi, sé o parti di sé, a dirsi addio, a lasciarsi andare per sempre o ad abbandonare il resto con una bella lavata di mani.

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