sabato 6 febbraio 2010

a tombola

Mi piacerebbe scrivere una storia metaforica e profonda, di quelle che gelano le vene e lasciano soli e disperati con le inquietudini peggiori. Ma so scrivere solo di me e delle mie finestre aperte. So raccontare solo le voci che mi arrivano e l'odore di quest'aria nuova passata da decine di narici. Mi stupisco della scandalosa prevedibilità degli eventi, mi vergogno di come ogni cosa sia già decisa e cercata, voluta, chiamata. Le profezie e i desideri si avverano e mi lasciano un senso di vuoto nella gola. Cercare le somiglianze è sterile masturbazione. Non mi interessano gli specchi, non mi piacciono i ritratti. Eppure non capisco tutta questa agitazione. Questo rigirarsi tra le mani oggetti conosciuti, parole masticate. Gretti presuntuosi a discutere dell'angolazione del sopracciglio destro, dell'inflessione tonale di uno sbadiglio, del peso specifico di un punto e virgola. Anche i cani imparano a riconoscere le cose note: il loro nome, il padrone, la strada di casa. Vanitosi profeti del passato, abbiamo disegnato la carta geografica del mese che verrà, di tutto quello che abbiamo chiamato a noi. Lanciamo odori e richiami molto più profondi della nostra immatura perspicacia, abbiamo già tutto quello che ci serve, è la paura di morire dalla noia che ci fa correre in cerchio. Poveri piccoli uomini soli con loro stessi.
E Guccini non m'è piaciuto mai, ma stanotte dal sacchetto è uscito lui.

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