domenica 29 novembre 2009

L’acqua è sul fuoco, la tavola è apparecchiata, la musica è accesa, il giornale aspetta aperto sul tavolo, i bicchieri sono pieni, le sigarette si consumano nel posacenere. Senza dire nulla ci siamo alzati e siamo andati via.

sabato 28 novembre 2009

Croquet con la Regina

Hai mai giocato a tetris con le parole? Hai mai guardato inerme un oggetto cadere? Hai mai preso il tram solo per leggere un libro senza stare fermo? Ti sei mai svegliato riprendendo i tuoi pensieri dal punto esatto in cui li avevi lasciati? Hai mai sognato di versare sale sul tuo letto? Hai mai sentito di aver sbagliato irrimediabilmente? Ti sei mai trovato sommerso dalla terra con le mani sporche e le unghie rotte? Hai mai parlato per ore difendendoti, colpendo e fuggendo per poi scoprire di volerti solo abbandonare al tuo nemico? Hai mai girato intorno a un punto convito di conoscere la strada? Hai mai guardato tutti da lontano, piccoli come in un cannocchiale girato? Hai mai chiesto aiuto? Hai mai scoperto che anche se la tua giornata inizia alle 8 non finisce prima delle 3 di notte? Hai mai trovato musica sconosciuta nel tuo computer che descrive precisamente come stai? Hai mai sentito la tua mente, il tuo corpo, i tuoi desideri sfuggire totalmente al controllo, e tu credi che la soluzione sia vicina ma appena allunghi le mani fugge via? Hai mai conservato una tazza affidandole il senso del tuo destino? Ti è mai caduta addosso la memoria? Hai mai perso il tuo umorismo? Hai mai indossato dieci personalità, trovato dieci nuove soluzioni, scoperto dieci volte il senso della vita in un solo pensiero? Hai mai avuto la sensazione che ti cambiassero le regole quando le capivi? Hai mai creduto di saper cambiare l’universo per poi scoprire di aver dimenticato come si fa? Ti sei mai sentito una profezia che si auto-avvera? I super poteri ti abbandonano, non ti spieghi come non hai capito le cose più semplici, cerchi di trasformarti e aspetti che ti spuntino le gambe.



«Da piccolo mi piaceva arrampicarmi sugli specchi»
«Io ho imparato molto dopo»

venerdì 27 novembre 2009

«Lì vi era il tutto. Però non vi erano le singole parti. E non essendovi parti, non era necessario sostituire una cosa con un’altra. Non era necessario togliere dei pezzi o aggiungervene altri. Bastava abbandonarsi al tutto, senza dover pensare a cose difficili.»

Murakami Haruki, Kafka sulla spiaggia

lunedì 23 novembre 2009

Su Il bell’Antonio

Non ho ancora letto il libro di Brancati, ma ho finalmente visto Il bell’Antonio nella versione cinematografica di Bolognini, con Pasolini alla sceneggiatura e Mastroianni nei panni del protagonista. Chi altro avrebbe potuto rendere l’intensità di un personaggio così malinconico, silenzioso, estraneo? Penso forse ad Alain Delon, che già interpretò il ruolo dell’uomo la cui avvenenza sembra essergli stata attaccata addosso come una colpa e non una benedizione. Ma Mastroianni raccoglie perfettamente in sé la bellezza macchiata di una certa indolenza che lo fa essere desiderabile e sfuggente, sempre altrove e sempre presente nello sguardo che denuda. Le ciglia lunghe, la pelle bianca, l’espressione triste, Antonio è l’uomo amato dalle donne, mascolino con tratti femminili, racchiude in sé il fascino dell’altro sesso livellandone la brutalità, come qualcosa che invade piano, senza dolore se non quando arriva al centro: un oggetto sessuale.
Antonio è un estraneo, un alieno nella città siciliana in cui la virilità è il primo orgoglio della stirpe, residuo della mentalità superomistica il cui vanto maggiore è l’essere stato «con nove donne in una notte sola». Il giovane che da Roma torna nella città d’origine portandosi dietro una fama immeritata da Don Giovanni, il conquistatore che le ha prese tutte.
La verità è svelata nella prima scena, di fronte a una donna in lacrime che lui non sa amare: Antonio non riesce a fare l’amore. Un’impotente, si direbbe con parole brutali, o forse una vittima della sua capacità di sentire, dell’intensità dei suoi sentimenti.
Le donne di cui si innamora sono trasfigurate in figure ultraterrene, sono angeli, non appartengono a questo mondo, come pensare di avvicinarsi senza rovinarle? Ma la donna è umana e la gabbia angelicata la costringe in un ruolo che non le appartiene, la priva della sensualità del corpo che non è cosa altra dallo spirito. Si può amare un corpo, come si amano le opere d’arte, come ci si emoziona di fronte alle creazioni della natura, di un amore che però è possesso, quando diventa fisico. Il desiderio chiede di essere soddisfatto e nella soddisfazione trova la sua morte.
L’amore, per durare, ha bisogno di sottrarsi a se stesso, di non raggiungere la completezza che lo ucciderebbe rendendolo reale, afferrabile e poi piccolo, concreto. È una menzogna che si auto-alimenta, deve celarsi: se la verità è nuda l’amore non può esserlo. Almeno non quello umano, perché chi saprebbe guardarne la meravigliosa lucentezza di fronte alla quale tutti appariremmo imperfetti e deboli?
Così nel film le ombre celano e le parole sono sussurrate, sfuggono. Lo sguardo non entra nell’intimità delle camere da letto, i segreti sono rispettati fino a quando non interviene la presenza esterna a violentarli, finché personaggi terzi non si intromettono nel lieve equilibrio degli sposi.
Senza intromissioni quell’amore sarebbe forse rimasto immutato, eterno. Ma l’uomo non sa desiderare senza prendere, quell’equilibrio si sarebbe rotto perché uno dei due un giorno, spinto dalla propria umanità, si sarebbe risvegliato e, guardando il suo sogno di purezza, non avrebbe saputo continuare quel felice inganno.



«Un giorno ti lasciai per un interno folle miraggio e me ne andai lontano.
E me ne andai per ogni suolo estraneo cercando amore.
E l’amore cercai l’estate e il verno. E sempre andai cercando amore.
Corsi cercando amore, ma l’amor non scorsi e da casa tornai malato in cuore
»

giovedì 19 novembre 2009

mercoledì 18 novembre 2009

atterrati

Pagheremo tutto questo o stiamo pagando ora per il lavoro fatto male?
Cos’è questo: un processo o un verdetto?
Da quanto sono qui? Io non ricordo.
Nell’acqua sotto il ponte c’è un cavallo addormentato, ha dimenticato il giorno.
Sul cielo di Roma gli uccelli divorano i tetti delle chiese e i sanpietrini crepano nell’acqua.
Senza piedi né testa, rifugiati nel ventre, si attende il nuovo parto.

martedì 17 novembre 2009

Tra le righe, nello spazio tra le parole, nelle pause si nascondono i pensieri più profondi che hanno paura di svelarsi.

lunedì 16 novembre 2009

Infiltrazioni

La polvere negli angoli, il sorso sgasato, il telegiornale della notte. Il boccone avanzato, l’ultima pagina bianca, le briciole del tabacco.
Il calore che non scalda, la voce che non dice e la terra che non mi abbandona.
Il guscio vuoto che dà forma, un punto e virgola.
Le notti che non dormo e le mattine che non mi sveglio, i libri che non finisco e le parole che non scrivo. Le telefonate che non faccio, i sorrisi che non nascono e l’acqua che non lava. Il tempo fuggito, la mia immobilità, ogni cosa che non capisco.
Le gambe che non si muovono, la zavorra nei vecchi sacchi, la sconfitta a cui non so rinunciare.

domenica 15 novembre 2009

Finestra sulla memoria (V)

«Viaggia la luce delle stelle morte, e grazie al volo del loro fulgore le vediamo vive.
La chitarra, che non dimentica chi è stato il suo compagno, suona senza il tocco della mano.
Viaggia la voce che, senza la bocca, continua ad essere
»



Eduardo Galeano, Parole in cammino

martedì 10 novembre 2009

Nelle parole già versate sono le forme perse di ora.

lunedì 9 novembre 2009

giovedì 5 novembre 2009

I caduti sono rimasti sulla strada.
Quant’è stato difficile arrivare fino a qui.
Nel petto il metallo più prezioso e tra le labbra aperte in un sorriso
il mio nome.
Ci siamo spogliati dei vestiti e coperti di polvere
per essere liberi,
per non essere posseduti
e rivedere il cielo.

mercoledì 4 novembre 2009